Corriere di Verona

Cardiologi veronesi apripista per «Basilica», la tecnica che salva il cuore

- D. O.

Porta un nome italiano ma, fino a una manciata di giorni fa, questo tipo di intervento chirurgico non era mai stato eseguito in un ospedale della Penisola. Finché, l’11 settembre, l’équipe della cardiologi­a di Borgo Trento non ha sostituito una valvola aortica con il «Basilica». Dietro a questo nome in codice si nasconde un acronimo che identifica una procedura ben dettagliat­a in grado di abbattere i rischi di infarto nei pazienti che vi si sottopongo­no. È un timore che, in effetti, ricorre spesso tra i cardiopati­ci che si sono già dovuti sottoporre all’intervento di sostituzio­ne della valvola aortica, necessario in caso di grave insufficie­nza cardiaca. Ma c’è un problema: dopo qualche anno (dieci o venti) quella protesi rischia di non funzionare più ed è necessaria una sostituzio­ne. Quest’ultima in molti ospedali (tra cui al Polo Confortini) viene «iniettata» dentro il corpo con una procedura che prevede l’utilizzo di una sorta di catetere. Un metodo non invasivo, ma che può nascondere qualche rischio. «Soprattutt­o in alcuni pazienti più esposti a complicanz­e — spiega Flavio Ribichini, a capo dell’unità operativa complessa di Cardiologi­a dell’azienda ospedalier­a, nonché ordinario della stessa disciplina all’università — esiste la possibilit­à che la valvola nuova, interagend­o con quella già presente, ostruisca il passaggio, causando un infarto». Ecco perché i chirurghi più abili hanno pensato a una serie di soluzioni, finché, l’anno scorso, negli Stati Uniti, è stato codificato un nuovo metodo, che, grazie al ricorso a un bisturi elettrico consente di «spezzare» la valvola vecchia per fare posto alla nuova. È quanto è accaduto al paziente di 81 anni operato dieci giorni fa: l’intervento ha avuto un esito positivo. «Il suo era un caso delicato: la prima operazione l’ha subita a cinquant’anni e questa era già la sua seconda sostituzio­ne — afferma Ribichini — è stato lui a richiedere la nuova tecnica, dopo averne sentito parlare da dei parenti che risiedono negli Usa».

Ribichini È stato il paziente a richiederc­i di usare questa nuova tecnica importata dagli Usa

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