Ligabue 3.0
Imprenditori, esploratori, mecenati Una mostra a Venezia celebra i cento anni della storica famiglia «Il nostro futuro globale e digitale»
Da 100 anni i Ligabue riforniscono navi, piattaforme petrolifere, cantieri e per un certo tempo anche linee aeree. Da Venezia hanno portato il cibo italiano fino agli angoli più sperduti del mondo. Prima Anacleto, dal 1919. Poi il figlio Giancarlo, che al diramarsi dell’impresa, ha affiancato l’attività scientifica. E Inti, dal 2012 alla guida dell’azienda e della Fondazione culturale, che ha preso il testimone del Centro Studi attivo fin dal 1973. Perché la Ligabue, «la più antica società attiva al mondo di appalto e provveditoria navale», come si definisce, è anche un esemplare crogiolo di economia e di cultura. La Grande Impresa. 1919 – 2019 è il titolo delle celebrazioni che da ieri hanno preso il via alla Scuola Grande della Misericordia a Venezia con una mostra sorprendente: 27 isole tematiche, un grande schermo, 25 postazioni multimediali, 409 immagini, 12 proiezioni olografiche e il calco del famoso dinosauro scoperto in Niger da Giancarlo Ligabue (visitabile fino al 3 novembre).
«È la mostra più difficile che ho organizzato dalla scomparsa di mio padre – sorride Inti Ligabue, che l’ha curata con Federico Dei Rossi e Luca Facchini – . Perché è una mostra su di noi e scivolare nella retorica è facile. E così ho passato gli ultimi giorni a togliere cose. Non vuole essere un’autocelebrazione, ma il racconto, anzi una serie di racconti di tutto ciò che è stata la Ligabue in questo secolo».
Cosa è rimasto della Ligabue delle origini?
«Credo l’impronta umanista. Il rispetto per le donne e gli uomini che ci lavorano. La Ligabue sono loro, prima di tutto. E questo è stato il faro anche nei momenti più duri. Nel 1945, ad esempio, l’azienda era uscita distrutta dalla guerra: affondate le navi, saccheggiati i magazzini, sotto commissariamento. Mio nonno doveva decidere se licenziare tutti. Ma nel verbale, che è tra i materiali in mostra, lui dichiarava, contro il parere del suo amministratore delegato, di voler prendere tempo e comunque non prima di aver trovato soluzioni alternative per quelle persone».
È toccato a lei, affrontare un’altra tempesta.
«Sì, con il nuovo secolo l’azienda ha affrontato una crisi terribile. E abbiamo dovuto prendere decisioni drastiche. Abbiamo chiuso cinque dei sei grandi magazzini sparsi in Italia, oltre a recidere il catering aereo, ridurre il personale di oltre 100 unità, riorganizzare l’azienda. È stato umanamente durissimo, ma all’epoca avevamo 3600 dipendenti, oggi quasi 8 mila. E di questo sono orgoglioso».
La Ligabue è sempre stata anche un luogo di grande innovazione.
«A mio nonno Anacleto va il merito di aver riconosciuto una necessità di mercato e di aver inventato l’appalto di rifornimento navale. Organizzare il catering significava occuparsi di tutto, assumendosi il rischio fin dall’inizio. È stata un’intuizione formidabile. Mio padre Giancarlo, da parte sua, ha capito che bisognava diversificare. E ha internazionalizzato l’azienda, di pari passo con la sua curiosità scientifica e culturale da esploratore».
E ora?
«Un tempo, erano sufficienti tre fattori: carisma, entusiasmo e istinto imprenditoriale. Ora non bastano più. A noi spetta essere all’altezza dei tempi, globali e digitali. Dobbiamo esplorare altri settori, come quello che stiamo portando avanti con la crocieristica fluviale, tanto da diventare armatori: la nostra prima nave si chiamerà Diletta, come mia figlia».
C’è anche un rapporto strettissimo con Venezia.
«Sono molto emozionato che Venezia abbia deciso di intitolare a mio padre il Museo di Storia Naturale, a cui lui ha affidato tanti reperti. Devo ricordare che già nel 2005 il sindaco Cacciari aveva consegnato le chiavi della città a mio padre. Penso anche allo sport: Anacleto e Giancarlo hanno guidato per anni la Reyer, senza dimenticare l’impegno nel calcio, nella Bucintoro. Oggi quella responsabilità sociale d’impresa ci chiede di percorrere altri percorsi, che stiamo valutando, ma sempre nell’ambito della ricerca scientifica e della divulgazione culturale».
Ci sarà un Museo Ligabue a Venezia?
«La questione del museo è un tema aperto. Se ci si riferisce ad una collezione permanente, l’idea che stiamo valutando è di aprire una parte di Palazzo Erizzo (la residenza, ndr). Ma il punto è un altro. Finora come Fondazione abbiamo realizzato tre mostre e altre ne abbiamo in programma. Più che un museo, ci piace l’idea di andare noi verso i cittadini e per questo puntiamo su programmi triennali di attività in città. È la formula, più al passo coi tempi».