«Medici in corsia fino a 70 anni»
Gli specializzandi diventano dipendenti, il corso di laurea scende da 6 a 5 anni. L’attuazione spetta al ministero Mancano ospedalieri, approvato il piano del Veneto. Atenei perplessi, via libera dall’Ordine
Approvato dai governatori il piano del Veneto che prevede 16 misure urgenti e a medio termine per affrontare la carenza di 50mila medici in Italia, di cui 1300 nella nostra regione. Tra le prime disposizioni l’assunzione a tempo indeterminato di laureati senza specializzazione e di specializzandi a orario parziale, lo spostamento della pensione per gli ospedalieri da 65 a 70 anni e la riforma dei concorsi. Ora il piano è in mano al ministero.
Ospedalieri in corsia fino a 70 anni, neolaureati assunti a tempo indeterminato, corso di laurea che scende da 6 a 5 anni e specializzazione da 5 a 3, incentivi per i turni di guardia e il servizio in zone disagiate. Sono alcune delle 16 «Proposte riguardanti la carenza di medici specialisti e la valorizzazione delle professioni sanitarie» scritte dal Veneto, riassunte in un documento approvato ieri a Roma dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e ora al vaglio del ministro della Salute, Roberto Speranza, per la traduzione dalle parole ai fatti, previo parere dei ministeri dell’Economia e della Pubblica amministrazione. Ed entro l’anno. O inserendolo nel Patto per la Salute 2020/2022 oppure con la formula del decreto legge o della proposta di legge. Misure urgenti da adottare nel triennio ma anche interventi strutturali da attuare nel medio termine per affrontare la carenza di 50mila specialisti in Italia, di cui 1300 nel Veneto. «Il problema è urgente — avverte il governatore Luca Zaia — mi auguro che il documento venga preso in considerazione dal ministro della Salute e che sia inserito nei primi provvedimenti utili. Tutte le Regioni sono state colpite dagli effetti della mancanza di una corretta programmazione nazionale e adesso occorre intervenire sulla formazione e sul reclutamento con misure immediate, come abbiamo iniziato a fare in Veneto».
E allora vediamole nel dettaglio le 16 proposte, alcune delle quali dibattute dalla Regione al tavolo con gli Ordini dei Medici e le Università di Padova e Verona. E che dovranno partire «dall’allineamento tra i laureati e le borse di studio per le scuole di specializzazione», per il 2019 già portate dallo Stato da 6200 a 8mila e in procinto di arrivare a 9mila nel 2020. Si parte con la possibilità, nel prossimo triennio, di assumere a tempo indeterminato anche i laureati abilitati ma senza specializzazione, che però potranno completare entrando come quota in sovrannumero nelle Scuole di specialità, in base ad accordi tra Regioni e Atenei. L’Università garantirà la formazione teorica, mentre la pratica sarà svolta in ospedale e impegnerà almeno il 70% del tempo. Con i neolaureati, in assenza di specialisti dipendenti o convenzionati, si potranno firmare «contratti di lavoro autonomo anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie». Ma non nei reparti di Anestesia e Rianimazione, Terapia intensiva e del dolore, Medicina nucleare, Radiodiagnostica e Radioterapia, nei quali la legge impone specialisti.
Sempre dal 2020 al 2022 potranno essere assunti pure gli specializzandi del quarto e del quinto anno, con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e con orario parziale. Per quanto riguarda in particolare gli iscritti alle Scuole di specializzazione con borse di studio regionali (il Veneto ne finanzia 90, per un costo di 9.795.000 euro), svolgeranno il training come dipendenti degli ospedali cui sono destinati. Strutture scelte dalle Regioni in raccordo con le Università e che vedranno gli specializzandi-dipendenti trascorrervi almeno il 70% del tirocinio. Gli specializzandi saranno inoltre autorizzati a «fornire prestazioni temporalmente limitate, adeguate alle competenze e retribuite extra orario formativo» (una sorta di libera professione) e usufruiranno della copertura assicurativa garantita ai dipendenti. Passando dai giovani ai medici «anziani», il documento chiede la modifica della norma che impone il pensionamento a 65 anni o dopo 40 anni di servizio, consentendo agli ospedalieri di restare in reparto fino ai 70, come già accade per gli universitari.
Novità per i concorsi: la domanda è di snellirne le procedure e di utilizzare le graduatorie per l’assunzione anche dei candidati idonei ma non vincitori, fino a copertura del fabbisogno (da definire con una metodologia unica in tutta Italia). Sul fronte degli stipendi, la ricetta parla di incentivi «per valorizzare medici e personale del comparto» (e bloccarne la fuga nel privato), una maggiorazione dei compensi per i servizi di guardia medica e pronta disponibilità e specifiche indennità a beneficio degli operatori in zone disagiate. Aumento in busta paga pure per i camici bianchi in rapporto di esclusiva col servizio pubblico che accetteranno di svolgere prestazioni oltre l’orario previsto, per coprire buchi di organico. Ma nel periodo del doppio impegno non potranno svolgere la libera professione.
Infine la proposta di ridurre il corso di studi in Medicina e Chirurgia da 6 a 5 anni e la specializzazione a tre e di abolire l’esame di abilitazione, per accelerare l’ingresso in corsia. Perplesse le Università: «Abbiamo compiuto un errore di programmazione finora o dovremo abbassare la qualità della formazione adesso? E poi come compattiamo le ore di frequenza?». «A noi queste misure piacciono, alcune sono frutto del lavoro di squadra con la Regione e gli Atenei», dice Francesco Noce, presidente regionale dell’Ordine dei Medici. «E’ molto importante che le Regioni abbiano definito una posizione comune — sostiene Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità — ora manca un intervento nazionale che ci aiuti a garantire i Livelli essenziali di assistenza». «Nel bene o nel male finalmente le Regioni si sono svegliate dopo dieci anni di letargo — commenta Adriano Benazzato, segretario Anaoo (ospedalieri) — ma non accetteremo mai l’assunzione di non specialisti. Sono un pericolo per sè e per i malati».