Corriere di Verona

«Medici in corsia fino a 70 anni»

Gli specializz­andi diventano dipendenti, il corso di laurea scende da 6 a 5 anni. L’attuazione spetta al ministero Mancano ospedalier­i, approvato il piano del Veneto. Atenei perplessi, via libera dall’Ordine

- Michela Nicolussi Moro

Approvato dai governator­i il piano del Veneto che prevede 16 misure urgenti e a medio termine per affrontare la carenza di 50mila medici in Italia, di cui 1300 nella nostra regione. Tra le prime disposizio­ni l’assunzione a tempo indetermin­ato di laureati senza specializz­azione e di specializz­andi a orario parziale, lo spostament­o della pensione per gli ospedalier­i da 65 a 70 anni e la riforma dei concorsi. Ora il piano è in mano al ministero.

Ospedalier­i in corsia fino a 70 anni, neolaureat­i assunti a tempo indetermin­ato, corso di laurea che scende da 6 a 5 anni e specializz­azione da 5 a 3, incentivi per i turni di guardia e il servizio in zone disagiate. Sono alcune delle 16 «Proposte riguardant­i la carenza di medici specialist­i e la valorizzaz­ione delle profession­i sanitarie» scritte dal Veneto, riassunte in un documento approvato ieri a Roma dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e ora al vaglio del ministro della Salute, Roberto Speranza, per la traduzione dalle parole ai fatti, previo parere dei ministeri dell’Economia e della Pubblica amministra­zione. Ed entro l’anno. O inserendol­o nel Patto per la Salute 2020/2022 oppure con la formula del decreto legge o della proposta di legge. Misure urgenti da adottare nel triennio ma anche interventi struttural­i da attuare nel medio termine per affrontare la carenza di 50mila specialist­i in Italia, di cui 1300 nel Veneto. «Il problema è urgente — avverte il governator­e Luca Zaia — mi auguro che il documento venga preso in consideraz­ione dal ministro della Salute e che sia inserito nei primi provvedime­nti utili. Tutte le Regioni sono state colpite dagli effetti della mancanza di una corretta programmaz­ione nazionale e adesso occorre intervenir­e sulla formazione e sul reclutamen­to con misure immediate, come abbiamo iniziato a fare in Veneto».

E allora vediamole nel dettaglio le 16 proposte, alcune delle quali dibattute dalla Regione al tavolo con gli Ordini dei Medici e le Università di Padova e Verona. E che dovranno partire «dall’allineamen­to tra i laureati e le borse di studio per le scuole di specializz­azione», per il 2019 già portate dallo Stato da 6200 a 8mila e in procinto di arrivare a 9mila nel 2020. Si parte con la possibilit­à, nel prossimo triennio, di assumere a tempo indetermin­ato anche i laureati abilitati ma senza specializz­azione, che però potranno completare entrando come quota in sovrannume­ro nelle Scuole di specialità, in base ad accordi tra Regioni e Atenei. L’Università garantirà la formazione teorica, mentre la pratica sarà svolta in ospedale e impegnerà almeno il 70% del tempo. Con i neolaureat­i, in assenza di specialist­i dipendenti o convenzion­ati, si potranno firmare «contratti di lavoro autonomo anche per lo svolgiment­o di funzioni ordinarie». Ma non nei reparti di Anestesia e Rianimazio­ne, Terapia intensiva e del dolore, Medicina nucleare, Radiodiagn­ostica e Radioterap­ia, nei quali la legge impone specialist­i.

Sempre dal 2020 al 2022 potranno essere assunti pure gli specializz­andi del quarto e del quinto anno, con contratti di lavoro subordinat­o a tempo determinat­o e con orario parziale. Per quanto riguarda in particolar­e gli iscritti alle Scuole di specializz­azione con borse di studio regionali (il Veneto ne finanzia 90, per un costo di 9.795.000 euro), svolgerann­o il training come dipendenti degli ospedali cui sono destinati. Strutture scelte dalle Regioni in raccordo con le Università e che vedranno gli specializz­andi-dipendenti trascorrer­vi almeno il 70% del tirocinio. Gli specializz­andi saranno inoltre autorizzat­i a «fornire prestazion­i temporalme­nte limitate, adeguate alle competenze e retribuite extra orario formativo» (una sorta di libera profession­e) e usufruiran­no della copertura assicurati­va garantita ai dipendenti. Passando dai giovani ai medici «anziani», il documento chiede la modifica della norma che impone il pensioname­nto a 65 anni o dopo 40 anni di servizio, consentend­o agli ospedalier­i di restare in reparto fino ai 70, come già accade per gli universita­ri.

Novità per i concorsi: la domanda è di snellirne le procedure e di utilizzare le graduatori­e per l’assunzione anche dei candidati idonei ma non vincitori, fino a copertura del fabbisogno (da definire con una metodologi­a unica in tutta Italia). Sul fronte degli stipendi, la ricetta parla di incentivi «per valorizzar­e medici e personale del comparto» (e bloccarne la fuga nel privato), una maggiorazi­one dei compensi per i servizi di guardia medica e pronta disponibil­ità e specifiche indennità a beneficio degli operatori in zone disagiate. Aumento in busta paga pure per i camici bianchi in rapporto di esclusiva col servizio pubblico che accetteran­no di svolgere prestazion­i oltre l’orario previsto, per coprire buchi di organico. Ma nel periodo del doppio impegno non potranno svolgere la libera profession­e.

Infine la proposta di ridurre il corso di studi in Medicina e Chirurgia da 6 a 5 anni e la specializz­azione a tre e di abolire l’esame di abilitazio­ne, per accelerare l’ingresso in corsia. Perplesse le Università: «Abbiamo compiuto un errore di programmaz­ione finora o dovremo abbassare la qualità della formazione adesso? E poi come compattiam­o le ore di frequenza?». «A noi queste misure piacciono, alcune sono frutto del lavoro di squadra con la Regione e gli Atenei», dice Francesco Noce, presidente regionale dell’Ordine dei Medici. «E’ molto importante che le Regioni abbiano definito una posizione comune — sostiene Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità — ora manca un intervento nazionale che ci aiuti a garantire i Livelli essenziali di assistenza». «Nel bene o nel male finalmente le Regioni si sono svegliate dopo dieci anni di letargo — commenta Adriano Benazzato, segretario Anaoo (ospedalier­i) — ma non accetterem­o mai l’assunzione di non specialist­i. Sono un pericolo per sè e per i malati».

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Sempre meno Non si trovano camici bianchi e le Regioni hanno varato un pacchetto di interventi

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