Acqua alta, ghiacciai e smog: catalogo veneto delle emergenze
I temi mondiali si riflettono sul Nordest. L’esperto: «Difficile essere ottimisti»
Tempeste, ondate di calore, ritirata progressiva dei ghiacciai… nel catalogo delle emergenze ambientali venete c’è un trait d’union che rispecchia quanto, da tempo, viene denunciato dagli scienziati a livello globale: l’aumento della temperatura. Un «cambiamento climatico» che va in una senso ben preciso, quello del caldo. Insomma: si tratta del classico caso in cui gli effetti su piccola scala, in questo caso il Nordest italiano riflettono quelli su grande scala a livello mondiale. E tutte i fenomeni direttamente correlati hanno visto un drammatico aumento della frequenza negli ultimi due decenni.
Nel giorno in cui migliaia di studenti veneti manifesteranno nei capoluoghi di provincia per lo «sciopero» indetto a livello mondiale, ecco un riassunto dei fenomeni che, direttamente o indirettamente collegati al «climate change» hanno visto un aumento della frequenza negli ultimi due decenni.
Acqua alta a Venezia
Quando si parla di cambiamenti climatici, l’immagine del Veneto, anche all’estero, è associata all’acqua alta. «Venezia is sinking», Venezia sta affondando, è uno dei refrain degli attivisti ambientalisti in tutto il mondo. Come sanno bene i veneziani, si tratta di un fenomeno che va valutato sui picchi estremi. Ma è possibile fissare un trend: a Punta della Salute, dove è fissato convenzionalmente lo zero mareografico, gli esperti dell’Ismar, l’istituto di ricerche marine del Cnr, hanno registrato. un aumento, per il periodo che va dal 1872 al 2016, di 2,5 millimetri l’anno. Vale a dire 25 centimetri in un secolo. Un valore superiore a quello registrato a Genova e a Trieste (circa 19 centimetri in cento anni). «Il motivo — spiega Marco Carrer, docente del dipartimento Territori e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova — è che Venezia è interessata anche dal fenomeno della subsidenza, comunque in calo rispetto al passato. Le prospettive non sono incoraggianti: l’Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, parla di un aumento del livello del mare, nei prossimi cento anni di 50 - 70 centimetri». A causarlo, in gran parte, lo scioglimento dei ghiacci groenlandesi, una perdita d’acqua stimata in 215 miliardi di tonnellate d’acqua. Per limitare i danni è stato costruito il Mose, il sistema di paratoie finito al centro di uno scandalo tangenti che ora è previsto entrare in funzione nel 2021.
Ghiacciai in ritirata
Una delle «brutte notizie» arrivate nel corso del vertice Onu di questi giorni riguarda i ghiacciai. Per l’Ipcc lo scioglimento sta accelerando e per quelli alpini in particolare c’è davvero poco da fare. In Veneto, la superficie dei ghiacciai si è ridotta del 30% in trent’anni. «Si stima la scomparsa totale — afferma Carrer — delle riserve di ghiaccio sotto i tremila metri. Questo ci riguarda da vicino perché nell’elenco c’è anche il ghiacciaio della Marmolada. Gli effetti sui ghiacciai si vedono con un certo ritardo dovuto all’inerzia atmosferica, per cui noi ora stiamo assistendo all’effetto del riscaldamento degli anni passati. Per questo è difficile essere ottimisti. Inoltre, la perdita non è solo paesaggistica, ma ha delle conseguenze sulle risorse idriche, sulla flora e sulla fauna d’alta montagna».
Temperature e fenomeni estremi
L’Arpav, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, ha registrato, nel territorio veneto, l’aumento di oltre un grado negli ultimi 25 anni. Si tratta di un valore superiore a quello medio globale, che pone il Nordest, in compagnia di tutta la Mitteleuropa, dalla Svizzera fino alla Romania, in una zona che si sta riscaldando particolarmente in fretta. L’ovvia conseguenza è l’aumento delle ondate di calore (ben due «fuori scala» nell’ultima estate) e la diminuzione dei giorni di freddo. Tutte le estati più calde delle serie raccolte dalle stazioni meteo sono concentrate dal 2000 in poi: la più calda in assoluto rimane quella del 2003, dietro troviamo, a brevissima distanza tra di loro quelle del 2012, 2015 e, per l’appunto, del 2019. Vanno di pari passo i nubifragi estivi (chiamati impropriamente «bombe d’acqua») e le alluvioni, soprattutto nelle stagioni di transizione come la primavere e l’autunno: resta negli annali, per i danni e per il dissesto idrogeologico causato quella di Ognissanti nel 2011, in particolare per le conseguenze nel territorio vicentino e veronese.
Vaia e la strage di alberi
La tempesta di fine ottobre 2018 ha avuto danni contenuti in pianura, ma è stata disastrosa in montagna, dove si è registrata una colossale perdita del patrimonio boschivo, con milioni di alberi divelti su decine di migliaia di ettari, in particolare nelle province di Belluno, Vicenza, Trento e Bolzano. A causarli, il fortissimo richiamo sciroccale, con venti fino a duecento chilometri orari. Anche il quantitativo di pioggia caduto è stato impressionante e paragonabile solo, in Regione, all’alluvione del 1966. Com’è la situazione, a quasi un anno di distanza? «È stato ripulito circa il trenta per cento della superficie interessata dai crolli della vegetazione — spiega Raffaele Cavalli, docente di Utilizzazioni forestali all’Università di Padova e nella task-force della Regione che si sta occupando delle operazioni di bonifica — siamo partiti dalla parti più accessibili, ma siamo moderatamente ottimisti: in tre anni si dovrebbe avere uno sgombero totale». E dopo? Non è previsto un rimboschimento artificiale, la natura farà il suo corso, potendo contare, anche sull’aiuto delle piante rimaste in piedi. «Va notato — aggiunge Carrer — che molti degli alberi caduti sono stati piantati dopo la Prima guerra mondiale: si tratta di abeti rossi. Questa omogeneità ha avuto un ruolo in quanto è accaduto».
Lo smog in pianura padana
Non è direttamente correlato all’aumento della temperatura, ma è sempre un prodotto dell’impronta antropica: lo smog che, specie in inverno, colpisce il bacino padano. Sebbene il Nord Italia, con poche altre regioni del centro Europa risulti l’area più colpita del continente, almeno in questo caso si intravede un trend al miglioramento rispetto agli anni ’90. Merito sia del calo delle giornate caratterizzate dall’inversione termica, ma soprattutto delle misure ambientali. Ieri si sono riuniti gli assessori dei capoluoghi venti confermando, per la stagione a venire, le stesse misure adottate lo scorso anno, con limitazione alla circolazione dei mezzi diesel fino agli Euro 4, ma solo nel caso di eccessivi sforamenti.