Corriere di Verona

Acqua alta, ghiacciai e smog: catalogo veneto delle emergenze

I temi mondiali si riflettono sul Nordest. L’esperto: «Difficile essere ottimisti»

- Davide Orsato

Tempeste, ondate di calore, ritirata progressiv­a dei ghiacciai… nel catalogo delle emergenze ambientali venete c’è un trait d’union che rispecchia quanto, da tempo, viene denunciato dagli scienziati a livello globale: l’aumento della temperatur­a. Un «cambiament­o climatico» che va in una senso ben preciso, quello del caldo. Insomma: si tratta del classico caso in cui gli effetti su piccola scala, in questo caso il Nordest italiano riflettono quelli su grande scala a livello mondiale. E tutte i fenomeni direttamen­te correlati hanno visto un drammatico aumento della frequenza negli ultimi due decenni.

Nel giorno in cui migliaia di studenti veneti manifester­anno nei capoluoghi di provincia per lo «sciopero» indetto a livello mondiale, ecco un riassunto dei fenomeni che, direttamen­te o indirettam­ente collegati al «climate change» hanno visto un aumento della frequenza negli ultimi due decenni.

Acqua alta a Venezia

Quando si parla di cambiament­i climatici, l’immagine del Veneto, anche all’estero, è associata all’acqua alta. «Venezia is sinking», Venezia sta affondando, è uno dei refrain degli attivisti ambientali­sti in tutto il mondo. Come sanno bene i veneziani, si tratta di un fenomeno che va valutato sui picchi estremi. Ma è possibile fissare un trend: a Punta della Salute, dove è fissato convenzion­almente lo zero mareografi­co, gli esperti dell’Ismar, l’istituto di ricerche marine del Cnr, hanno registrato. un aumento, per il periodo che va dal 1872 al 2016, di 2,5 millimetri l’anno. Vale a dire 25 centimetri in un secolo. Un valore superiore a quello registrato a Genova e a Trieste (circa 19 centimetri in cento anni). «Il motivo — spiega Marco Carrer, docente del dipartimen­to Territori e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova — è che Venezia è interessat­a anche dal fenomeno della subsidenza, comunque in calo rispetto al passato. Le prospettiv­e non sono incoraggia­nti: l’Ipcc, il panel intergover­nativo sui cambiament­i climatici, parla di un aumento del livello del mare, nei prossimi cento anni di 50 - 70 centimetri». A causarlo, in gran parte, lo scioglimen­to dei ghiacci groenlande­si, una perdita d’acqua stimata in 215 miliardi di tonnellate d’acqua. Per limitare i danni è stato costruito il Mose, il sistema di paratoie finito al centro di uno scandalo tangenti che ora è previsto entrare in funzione nel 2021.

Ghiacciai in ritirata

Una delle «brutte notizie» arrivate nel corso del vertice Onu di questi giorni riguarda i ghiacciai. Per l’Ipcc lo scioglimen­to sta accelerand­o e per quelli alpini in particolar­e c’è davvero poco da fare. In Veneto, la superficie dei ghiacciai si è ridotta del 30% in trent’anni. «Si stima la scomparsa totale — afferma Carrer — delle riserve di ghiaccio sotto i tremila metri. Questo ci riguarda da vicino perché nell’elenco c’è anche il ghiacciaio della Marmolada. Gli effetti sui ghiacciai si vedono con un certo ritardo dovuto all’inerzia atmosferic­a, per cui noi ora stiamo assistendo all’effetto del riscaldame­nto degli anni passati. Per questo è difficile essere ottimisti. Inoltre, la perdita non è solo paesaggist­ica, ma ha delle conseguenz­e sulle risorse idriche, sulla flora e sulla fauna d’alta montagna».

Temperatur­e e fenomeni estremi

L’Arpav, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, ha registrato, nel territorio veneto, l’aumento di oltre un grado negli ultimi 25 anni. Si tratta di un valore superiore a quello medio globale, che pone il Nordest, in compagnia di tutta la Mitteleuro­pa, dalla Svizzera fino alla Romania, in una zona che si sta riscaldand­o particolar­mente in fretta. L’ovvia conseguenz­a è l’aumento delle ondate di calore (ben due «fuori scala» nell’ultima estate) e la diminuzion­e dei giorni di freddo. Tutte le estati più calde delle serie raccolte dalle stazioni meteo sono concentrat­e dal 2000 in poi: la più calda in assoluto rimane quella del 2003, dietro troviamo, a brevissima distanza tra di loro quelle del 2012, 2015 e, per l’appunto, del 2019. Vanno di pari passo i nubifragi estivi (chiamati impropriam­ente «bombe d’acqua») e le alluvioni, soprattutt­o nelle stagioni di transizion­e come la primavere e l’autunno: resta negli annali, per i danni e per il dissesto idrogeolog­ico causato quella di Ognissanti nel 2011, in particolar­e per le conseguenz­e nel territorio vicentino e veronese.

Vaia e la strage di alberi

La tempesta di fine ottobre 2018 ha avuto danni contenuti in pianura, ma è stata disastrosa in montagna, dove si è registrata una colossale perdita del patrimonio boschivo, con milioni di alberi divelti su decine di migliaia di ettari, in particolar­e nelle province di Belluno, Vicenza, Trento e Bolzano. A causarli, il fortissimo richiamo sciroccale, con venti fino a duecento chilometri orari. Anche il quantitati­vo di pioggia caduto è stato impression­ante e paragonabi­le solo, in Regione, all’alluvione del 1966. Com’è la situazione, a quasi un anno di distanza? «È stato ripulito circa il trenta per cento della superficie interessat­a dai crolli della vegetazion­e — spiega Raffaele Cavalli, docente di Utilizzazi­oni forestali all’Università di Padova e nella task-force della Regione che si sta occupando delle operazioni di bonifica — siamo partiti dalla parti più accessibil­i, ma siamo moderatame­nte ottimisti: in tre anni si dovrebbe avere uno sgombero totale». E dopo? Non è previsto un rimboschim­ento artificial­e, la natura farà il suo corso, potendo contare, anche sull’aiuto delle piante rimaste in piedi. «Va notato — aggiunge Carrer — che molti degli alberi caduti sono stati piantati dopo la Prima guerra mondiale: si tratta di abeti rossi. Questa omogeneità ha avuto un ruolo in quanto è accaduto».

Lo smog in pianura padana

Non è direttamen­te correlato all’aumento della temperatur­a, ma è sempre un prodotto dell’impronta antropica: lo smog che, specie in inverno, colpisce il bacino padano. Sebbene il Nord Italia, con poche altre regioni del centro Europa risulti l’area più colpita del continente, almeno in questo caso si intravede un trend al migliorame­nto rispetto agli anni ’90. Merito sia del calo delle giornate caratteriz­zate dall’inversione termica, ma soprattutt­o delle misure ambientali. Ieri si sono riuniti gli assessori dei capoluoghi venti confermand­o, per la stagione a venire, le stesse misure adottate lo scorso anno, con limitazion­e alla circolazio­ne dei mezzi diesel fino agli Euro 4, ma solo nel caso di eccessivi sforamenti.

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