Bordin: «A Doha temperature pericolose»
«Credo sia la prima volta, nell’atletica, che si superano certi limiti. Prestazioni compromesse dal clima, tribune deserte. Spero che Doha insegni a mettere dei paletti intorno al bene dello sport». A Doha, capitale del Qatar, è in corso il primo Mondiale d’atletica in Medio Oriente. «Uno spot surreale», dice Gelindo Bordin, eroe veneto della maratona di Seul ’88, uno dei tanti grandi che di fronte alle maratonete notturne piegate dai 34 gradi col 75 per cento d’umidità, ai marciatori che collassano e ai pochi tifosi per strada o allo stadio, avvertono una stretta al cuore.
Bordin, a Doha si sta andando oltre lo sport?
«Ci si indirizza verso quelle aree del mondo perché portano alle organizzazioni delle entrate che da altre parti forse non si riuscirebbero ad avere. Scelte dettate soprattutto dalle sponsorizzazioni, credo. Da un lato non so se gli atleti abbiano benefit, dall’altro certe condizioni climatiche compromettono le prestazioni. È vero che c’era caldo anche a Seul, a Los Angeles, però…».
Però?
«Però non c’erano le temperature di Doha.
L’atletica, specialmente la maratona, è molto influenzata dal clima. Sport significa mettere l’atleta nelle condizioni di gareggiare: le condizioni ideali sono impossibili in un Mondiale o un’Olimpiade, ma mettere in pericolo la salute va oltre».
E i pochi spettatori? Si rischiano certe derive recenti tipo il calcio, che peraltro in Qatar ci giocherà i mondiali 2022?
«Lo stadio di Doha semivuoto è un modo per farsi del male. Già l’atletica non è tra gli sport più seguiti. Se nei grandi appuntamenti ti mostri così la gente non si appassiona. E se manca la gente manca l’emozione, vale per l’atletica come per tutti gli sport, e ce lo stanno ricordando delle immagini televisive». Se avesse potere, che cosa farebbe?
«Porrei dei paletti nella valutazione dei Paesi che concorrono. Se superano tot gradi o percentuali di umidità li si penalizza nelle valutazioni della candidatura. Anche un Paese poco popolato, nell’ottica della cornice di pubblico, può rivelarsi una scelta infelice. Poi non voglio fare il romantico, oggi gli sponsor permettono agli atleti di fare i professionisti, però le gare devono svolgersi almeno entro limiti umani. Altrimenti il segnale è che lo sport conta meno di altri fattori».