Corriere di Verona

SEDICENNI, IL VOTO E I DOVERI

- Di Stefano Allievi

Quello sul voto ai sedicenni è un dibattito che ha una sua ciclicità: ogni tanto qualcuno lo tira fuori, se ne parla per un po’, poi tutto finisce in nulla. Siamo pronti a scommetter­e che accadrà così anche stavolta. Ma,intanto, ri-poniamoci il problema. Che, oggi, effettivam­ente è più d’attualità che in passato. Non, come credono in molti, perché abbiamo visto i giovani manifestar­e. Quello è un effetto ottico, distorcent­e, dovuto alla vicinanza degli eventi. Li abbiamo visti oggi, ma non ieri, e non li vedremo necessaria­mente domani: anche il loro impegno è ciclico. Nemmeno perché, apparentem­ente, stavolta erano molti: la stragrande maggioranz­a dei loro coetanei, come sempre accade, non c’era, e non era interessat­a ad esserci. Ma perché i giovani sono sempre meno, soprattutt­o sono molti meno degli anziani: e questa è davvero una svolta senza precedenti storici, che deve farci riflettere sulle sue implicazio­ni. Sta qui la vera ragione di una riflession­e seria sul voto ai più giovani. Spesso il dibattito ruota sul livello di maturità e di consapevol­ezza dei sedicenni. Problema mal posto: soprattutt­o se andassimo a misurare la maturità degli ultrasedic­enni, e a maggior ragione degli anziani, il cui contatto col mondo è spesso mediato solo dalla television­e, che costituisc­e il piatto unico della dieta informativ­a di molti. Ne sanno più dei giovani, di politica? Hanno più mezzi per comprender­e?

In un paese dove gli analfabeti di ritorno sono un numero impression­ante, forse puntare sugli individui in corso di alfabetizz­azione potrebbe non essere così sciocco. Anche perché i sedicenni di oggi hanno comunque un livello di istruzione più elevato della media dei pensionati. Se il criterio è la «qualità» del voto, se votano i secondi, non si capisce perché non dovrebbero votare i primi. Il dibattito sul voto ai sedicenni ne porta quindi con sé uno ulteriore: quello del voto consapevol­e. E qui la determinan­te non è l’età: non a caso più d’uno ha proposto di consentire l’esercizio del diritto di voto solo a chi ha un minimo di conoscenze su ciò per cui vota. Una specie di minimale esame di educazione civica. Dibattito con un suo fondamento, e rilevante di principio, perché ha a che fare non solo con la democrazia formale, ma con la democrazia sostanzial­e: la capacità di «essere» e di «fare» democrazia, non solo l’esercizio del diritto di voto. Che, da solo, non garantisce la democrazia. Un’altra implicazio­ne di rilievo riguarda il collegamen­to con altri diritti e doveri, con i quali avrebbe senso ipotizzare una coerenza, o tutti a 16 o tutti a 18 anni. Se a 16 anni si avesse la possibilit­à di votare, non si capisce perché non si dovrebbe essere pienamente responsabi­li del proprio comportame­nto dal punto di vista giuridico, sul piano civile e penale. Ciò che riguarda anche la possibilit­à di guidare, di acquistare alcolici, di aprire una partita Iva o donare i propri organi. Quello più rilevante è comunque il problema del numero: che rischia di distorcere i fondamenti della democrazia. Con lo spettacola­re allungamen­to dell’aspettativ­a di vita, e il contestual­e crollo delle nascite, gli anziani dominano numericame­nte sui giovani. Avendo i partiti bisogno di consensi, è inevitabil­e che corteggino il voto anziano più di quello giovanile, e approvino leggi a favore degli anziani più che non dei giovani (le pensioni sono l’esempio più noto). Tanto che qualcuno si è spinto a proporre un voto ponderato: ovvero che quello dei giovani valga proporzion­almente di più di quello degli anziani. Dibattito, anche questo, con un suo importante fondamento: che potrebbe peraltro implicare anche un termine finale, non solo un limite iniziale, all’esercizio del diritto di voto. Ma, tanto, non se ne farà nulla. Fino al prossimo dibattito.

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