La procura: «È violenza costringere i bambini bengalesi a imparare il Corano in arabo, non è la loro lingua»
Il pm contesta il giudice e chiede che l’imam di Pieve di Soligo torni subito in carcere
Hanno dai 5 ai 12 anni d’età, sono nati in Italia e per questo a scuola parlano l’italiano e a casa il bengalese, la loro madrelingua e quella della loro comunità. Non parlano invece l’arabo, lingua con la quale però, sarebbero stati costretti a «imparare a memoria il Corano». Un apprendimento imposto con metodi violenti che, secondo la procura di Treviso, configura il reato di violenza privata.
È questo uno dei punti con i quali, il sostituto procuratore Massimo Zampicinini ha fatto appello al tribunale del Riesame per chiedere che Faruk Omar vada in carcere. L’uomo, 36 anni bengalese, è l’ex imam del Centro Islamico di via Schiratti a Pieve di Soligo (Treviso), dal quale è stato allontanato nel luglio scorso con un’accusa pesantissima: aver picchiato e maltrattato psicologicamente, una cinquantina di bambini che ogni giorno, i genitori gli affidavano per la Scuola coranica. Lezioni che sarebbero state però, improntate alla violenza come documentano i video, girati dalle telecamere nascoste piazzate nel centro islamico dai carabinieri. Per lui la procura aveva chiesto l’arresto e la custodia cautelare in carcere con le accuse di maltrattamenti aggravati e violenza privata. Ma il gip Gianluigi Zulian, pur riconoscendo che i bambini erano «vittime di violenze fisiche e costretti a subire un clima tormentoso durante le lezioni» e che il 36enne aveva «maneschi metodi educativi», aveva ritenuto sufficiente allontanarlo dalla scuola e dalla comunità bengalese di Pieve di Soligo. E aveva allo stesso tempo stralciato il reato di violenza privata, ritenendo che fosse assorbito dai maltrattamenti. Ma il sostituto procuratore Massimo Zampicinini non è di questo avviso. E nel suo appello al tribunale del Riesame ha chiesto che il reato sia nuovamente contestato all’imam. Convinto che, oltre alle botte e le vessazioni psicologiche inferte durante le lezioni che costituiscono i maltrattamenti, l’uomo debba rispondere anche di violenza privata per aver costretto con la minaccia e la paura bambini, anche piccolissimi, a imparare a memoria il Corano in una lingua che non conoscono. Sottoponendo quindi con la minaccia e la forza, quelli che chiama «giovani credenti» a uno sforzo inaccettabile. Zampicinini ha chiesto che Omar vada in carcere, ritenendo tuttora sussistente il rischio di reiterazione del reato e che la misura dell’allontanamento da Pieve di Soligo e da quella scuola coranica abbia solo «spostato territorialmente il problema». Nulla vieta, infatti, al 36enne di diventare l’imam della comunità di Pordenone, dove si è trasferito con la famiglia, e di insegnare in quella Scuola Coranica con gli stessi metodi che gli vengono contestati. E cioè con quelle violenze che, la procura e i carabinieri hanno documentato con le telecamere nascoste. Quei video mostrano il maestro, colpire i bambini con calci, schiaffi e pugni sulla schiena. Oppure con un bastone, con la punta di ferro. Insultarli, zittirli bruscamente e picchiarli anche davanti ai genitori. Vessazioni fisiche e psicologiche reiterate, che hanno terrorizzato i bambini. Sono state le insegnanti della scuola elementare del paese ad accorgersi che in quei piccoli c’era qualcosa che non andava, perché dimostravano un «disagio psicologico» che prima mai avevano mostrato. Nei loro comportamenti, e nei disegni nei quali si raffiguravano «piccoli piccoli, davanti al maestro grande e minaccioso». E sono state proprio le insegnanti a raccogliere le prime confidenze: «Il maestro ci picchia, se non sappiamo bene a memoria il Corano». Da qui è partita l’inchiesta su Faruk Omar che, difeso dall’avvocato Roberto Baglioni, attende ora la decisione del Riesame. Nel caso in cui dovesse arrivare l’ordine d’arresto, comunque, il 36enne non andrebbe subito in carcere. La decisione non è esecutiva e la difesa può presentare ricorso per Cassazione.