Dazi Usa, salvo il vino veneto Ma olio e formaggio tremano
Strada spianata all’Amarone, il Prosecco valuta altri mercati. L’Uiv: pericolo scampato
La Valpolicella esulta. Se venissero tassati i grandi rossi francesi e spagnoli, l’Amarone avrebbe un grande vantaggio competitivo. Il Prosecco osserva, preoccupato: le bollicine non sono tassate in nessuna parte d’Europa, ma l’obiettivo rimane quello di trovare al più presto nuovi mercati. Olio e formaggio veneti, invece, non dovrebbero causare un rosso nell’export tale da mettere in ginocchio il settore.
Il giorno dopo la diffusione degli elenchi dei prodotti sottoposti a dazi da parte degli Stati Uniti il mondo dell’agroalimentare veneto tira un sospiro di sollievo. La svolta è arrivata nella sezione «7» degli elenchi di Donald Trump, dove si prevede un rincaro del 25% solo per i vini di Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna «not carbonated», ossia non frizzanti.
In attesa che i nuovi dazi entrino in vigore, il prossimo 18 ottobre, la sintesi dell’emozione comune arriva da Ernesto Abbona, presidente dell’Unione italiana vini: «Pericolo scampato, ma dobbiamo tenere alta l’attenzione», dice. «Gli Usa sono il Paese che più consuma vino con una domanda complessiva che è cresciuta negli ultimi cinque anni in valore di oltre il 30%». Ponendo il focus sul Veneto, però, c’è anche qualche motivo di soddisfazione. Andrea Sartori è il presidente del consorzio della Valpolicella. Dal Veronese, stando alle ultime analisi di Nomisma, partono 65/70 milioni di euro tra Ripasso e Valpolicella Doc, ma anche un milione e mezzo di bottiglie di Amarone che valgono circa venti milioni di euro. «Un business da quasi cento milioni di euro», ricorda Sartori. «Con queste nuove norme di Trump otteniamo un vantaggio competitivo non da poco. Ora vediamo come reagiranno gli altri Stati, incrociamo le dita e speriamo di rimanere fuori da queste liste».
Sul fronte degli spumanti trevigiani, una bottiglia su cinque di quelle che vanno all’estero ha come meta gli Usa. Si tratta di un valore di circa 270 milioni di euro. In questo caso, nessun vantaggio competitivo. Ma la preoccupazione resta. Il presidente del Consorzio della Doc, Stefano Zanette: «Già prima dell’estate avevamo posto in essere delle misure atte a fronteggiare eventuali situazioni quali l’effetto Brexit o l’innalzamento dazi degli Usa». I dati sono emblematici: quest’anno nell’export il Prosecco ha registrato +13% in Austria, +31 % in Francia, +38 % in Canada, +69 % in Polonia, +48 % nella Repubblica Ceca e +33% in Russia. Stessa linea per il direttore del Consorzio, Luca Giavi, che si dice rasserenato perché «i dati del primo semestre sono positivi, portando la quota di export oltre oceano al 27,5%».
D’altro canto, gli Usa non sono l’unico mercato a cui guardare. Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, col Vinitaly propone uno sguardo rivolto al mondo. «I dazi, gli embarghi, le restrizioni commerciali sono le nuove guerre del millennio», dice. «Vorrei ricordare a questo proposito che sulla questione statunitense l’Italia avrebbe da perdere tanto quanto la Francia, ma quest’ultima può contare su uno sbocco di mercato in Asia che noi ancora fatichiamo ad avere. Dei 6,45 miliardi di euro della domanda di importazione asiatica di vino, la Francia ne assorbe circa la metà (3,2 miliardi) contro i nostri 420 milioni».
Chiudendo il fronte agroalimentare veneto dei dazi, formaggio e olio al momento stanno ad osservare. Contraccolpi ce ne saranno, ma non avranno le cifre del vino. Per tutti, prende la parola Alessandro Mocellin, presidente di Latterie Vicentine: «Sicuramente anche il grana padano rientrerà tra i prodotti colpiti dai nuovi dazi Usa», dice. «Credo sia prematuro capirne oggi l’impatto reale e concreto in quanto siamo in attesa di conoscere l’esatta percentuale che verrà applicata. Di sicuro non farà bene alle nostre dop».
Mantovani L’Italia fatica ad avere uno sbocco in Asia come la Francia