Autonomia rinviata alle Camere
Accordo tra i partiti: prima una legge quadro, poi l’intesa con le Regioni. Zaia: «Tempi biblici»
Autonomia, cambia il percorso. I partiti di maggio- ranza hanno firmato un patto che impegna il parlamento a votare una legge quadro che fissi i paletti della grande riforma e solo successivamente ad approvare l’intesa con le singole regioni. Il documento fissa anche una scadenza per l’avvio del nuovo percorso: entro dicembre. Zaia è preoccupato: «Conoscendo i tempi romani, il doppio passaggio parlamentare rischia di diventare un alibi per non fare nulla».
Se da una parte il Veneto negli ultimi dieci anni ha perso 23mila giovani, emigrati a causa delle scarse opportunità occupazionali (l’Italia registra il tasso di occupazione più basso d’Europa nella fascia 25-29 anni, ovvero il 54,6%, contro una media Ue del 75%), dall’altra gli immigrati si stabilizzano e creano ricchezza. Emerge dal «Rapporto 2019 sull’economia dell’immigrazione» diffuso dalla Fondazione Moressa, che fissa in 501mila i residenti stranieri (il 10,2% della popolazione generale, con un aumento del 2,7% rispetto al 2017), di cui 238mila hanno un lavoro regolare. La provincia che ne conta di più è Verona (110.029, il 22%), seguita da Padova (97.085, il 19,4%), che ha superato Treviso (93.074, il 18,6%).
«Gli occupati stranieri si concentrano nelle professioni non qualificate (33,3%) — recita il dossier —. Solo il 7,6% svolge mansioni qualificate, il restante 60% si divide quasi equamente tra operai, artigiani, commercianti e impiegati». Ci sono però anche 62mila imprenditori immigrati, il 30% in più rispetto al 2008, che insieme agli altri lavoratori stranieri contribuiscono al Pil regionale (14,3 miliardi di euro) per il 9,8%. Complessivamente, sono 419mila i contribuenti nati all’estero, per un reddito pro capite annuo di 14.774 euro e un gettito Irpef di 872 milioni di euro. «La presenza straniera in Italia è stabile negli ultimi anni — illustra la Fondazione Moressa —. Il saldo migratorio rimane positivo, +26.371 tra arrivi e partenze, anche se la composizione dei nuovi ingressi è molto diversa rispetto al passato. Prevalgono i ricongiungimenti familiari, si stabilizzano gli arrivi per motivi umanitari, mentre sono quasi nulli gli ingressi per lavoro. Registriamo una lieve prevalenza di donne (52%) e una netta dominanza dei Paesi dell’Est (oltre il 45% del totale). Le prime nazionalità, in Veneto, sono Romania, Marocco e Cina. I dati raccolti evidenziano che la maggior parte degli immigrati è qui da oltre dieci anni».
Diversa la lettura del fenomeno tracciata dall’assessore al Lavoro, Elena Donazzan: «Gli stranieri compongono una popolazione di lavoratori molto poco qualificati, con stipendi bassi e costi sociali alti. Molto spesso le famiglie degli immigrati sono monoreddito, quindi è il Paese ospitante a dover pagare loro casa, scuola, sanità e sussidi vari. Quando poi perdono l’impiego, fanno più fatica a riqualificarsi». Quanto all’aumento degli imprenditori, Donazzan precisa: «Nella maggioranza dei casi le partite Iva si riferiscono a bar di basso livello e ad ambulanti, non a industriali, nè a liberi professionisti. Il dato positivo relativo ai lavoratori immigrati è che sono molto ben integrati: chi è in Italia regolarmente è quasi sempre rispettoso delle norme. E poi va riconosciuto che ci aiutano dal punto di vista demografico: noi non facciamo figli, loro sono molto prolifici». Poi una riflessione: «Dovremmo però avere come obiettivo non la sostituzione di intere fasce di popolazione, ma politiche che agevolino la famiglia italiana, gravata da mille spese importanti. Agli stranieri invece diamo noi la casa popolare, i libri delle elementari e così via. Speriamo che un giorno ci restituiscano quanto ricevuto».
Nel frattempo colf e badanti immigrate forniscono un servizio alla persona fondamentale per molte famiglie e che gli italiani non vogliono fare. A proposito di ragazzi, invece, il 13,3% degli studenti in Veneto sono stranieri, il 70% dei quali nati in Italia.
L’assessore Donazzan «Svolgono lavori poco qualificanti, collegati a stipendi bassi e a costi sociali alti a nostro carico»