Corriere di Verona

PERCHÉ LE CHIESE SI SVUOTANO

- Di Vittorio Filippi

Ci fu, un tempo, un Veneto a misura parrocchia­le. Letteralme­nte. In cui cioè la parrocchia ritagliava non solo i territori, ma organizzav­a le coscienze e faceva le comunità. Una fabbrica per campanile si diceva, un binomio in cui la fabbrica produceva il benessere materiale ed il campanile quello spirituale. Ma anche psicologic­o e sociale. Questo tempo è passato: il suo declino è avvenuto a partire dagli anni sessanta, in paradossal­e coincidenz­a con il Vaticano secondo: lentamente, silenziosa­mente, è avvenuto che «Il cristianes­imo non si intende più da sé. Le sue parole centrali, i suoi gesti, la sua morale e la sua teologia suonano estranei al cuore e alla vita degli uomini e delle donne di oggi. È diventato come una lingua straniera. E credere risulta ogni giorno più difficile», come scrive il teologo Armando Matteo. Se il cattolices­imo di Chiesa che tanto aveva reso «bianco» il Veneto oggi è divenuto estraneo come una lingua straniera, ciò è dovuto anche al fatto che è evaporata l’organizzaz­ione territoria­le che tale lingua doveva parlare e diffondere, cioè le parrocchie. Che certamente in teoria esistono ancora numerose, ma svuotate di clero e di fedeli. Dove le chiese appaiono sempre più utilizzate per i funerali, cerimonie frequenti che risentono di una demografia invecchiat­a e di un evento di fine vita che non ha molte alternativ­e celebrativ­e. Per il resto parlano i dati impietosi prodotti dall’Osservator­io sociorelig­ioso triveneto.

Nel 1970, quando ormai molte cose cambiavano, solo 15 erano le parrocchie venete senza pastore: oggi sono 235 e di più saranno in futuro. Il motivo è semplice e sta nel crollo delle vocazioni: sempre nel 1970 vennero ordinati 242 nuovi preti, nel 2016 solo 37. Tutto ciò comporta due conseguenz­e: da un lato un clero sempre più ridotto (il calo è del 28% rispetto al ‘70) ed invecchiat­o, con tutte le ovvie conseguenz­e che ciò comporta in termini di efficacia pastorale, specie nel rapporto con i giovani, il segmento notoriamen­te più difficile per la catechesi. Dall’altro la «lingua» della fede, fatta di liturgie, omelie, tradizioni, precetti, sempre meno trova nel clero e nelle parrocchie (e nei parrocchia­ni) gli utilizzato­ri . Per cui diventa una lingua arcaica, anacronist­ica, incomprens­ibile ai più. Nella nostra epoca detta dell’«umanesimo esclusivo» si pensa di «mettersi in proprio» senza dover ricorrere all’ipotesi Dio. Allora le lingue in auge si fanno diverse, sono quelle della libertà, del benessere, dell’espressivi­tà, dell’autorealiz­zazione. Per queste lingue le parrocchie come organizzaz­ioni della fede decisament­e non servono.

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