Il ministro Boccia «Prima dell’intesa riorganizziamo Stato e Regioni»
Il ministro spiega i due passaggi parlamentari
Ministro Boccia, ha ereditato la delega più cruciale, vista dal Nord che chiede l’autonomia da due anni. E la notizia di ieri su «eventuali interventi costituzionali»ha creato un certo scompiglio...
«L’accordo politico fatto a margine sul voto per il taglio dei parlamentari incide su un concetto più vasto di autonomia che potrebbe prevedere il mettere le mani sulla Costituzione per mettere a posto alcuni buchi». Quali?
«Per dirne una: abbiamo toccato il record di leggi regionali impugnate. Ho inserito nel disegno di legge possibile, oltre all’autonomia, anche la conciliazione Stato-Regioni perché abbiamo superato ogni limite tollerabile. Ambo parti. Qualcosa non funziona e va ricalibrato».
Stiamo dicendo che l’autonomia si inserisce in una cornice più ampia di riorganizzazione della cinghia di trasmissione fra Roma e le Regioni?
«Sì, bisogna riorganizzare meglio lo Stato. Il processo di riforma complessiva del Paese riparte sulla base anche del vissuto di questi 18 anni di titolo V. Verrà fuori che qualcosa deve essere cambiato». Veniamo all’autonomia, a che punto siamo?
«A Venezia ho promesso al governatore Luca Zaia che gli avrei trasmesso le valutazioni sullo stato dell’arte, sulle richieste delle Regioni e i rilievi dei ministeri, cosa che ho fatto oggi (ieri ndr). Questi atti sono l’eredità del precedente governo e ci servono per far chiarezza. Non vorrei più sentire “eravamo a un passo dalla meta” perché così non è. La gran parte delle istanze erano state smontate». Si parla, ora, di doppio passaggio parlamentare...
«Premetto che ho apprezzato il primo incontro con la delegazione trattante e con il professor Bertolissi. Così come ho apprezzato il riconoscimento, mancante nella proposta originaria del Veneto, del meccanismo di perequazione delle regioni a statuto ordinario. C’è un clima diverso: molte regioni del Sud fanno passi in avanti nel chiedere l’autonomia. E la legge quadro terrà insieme Nord e Sud ma anche alcune aree svantaggiate anche a Nord». Quali saranno i contenuti?
«La legge quadro capovolge l’impianto “autonomia, fabbisogni standard, Lep” (livelli essenziali di prestazione ndr).
Per me sarà: subito i Lep o, se non ci fossero le condizioni, fabbisogni standard con il vincolo di arrivare ai Lep entro il 2020 e poi l’autonomia. Sono pronto a presentarla con un ddl collegato alla manovra però se siamo bravi, in questi due mesi, potremmo trovare un veicolo legislativo».
I Lep sono la chimera degli ultimi due decenni...
«È inqualificabile che dal 2001 ad oggi non si siano definiti. Stanno nella Costituzione, vanno fatti. Lo Stato i numeri li ha, ho già un tavolo aperto con il Mef che darà mandato a Sose». La mia impostazione è una legge quadro che definisca i meccanismi con cui si riducono le diseguaglianze, tra Nord e Sud ma anche, ad esempio, fra Belluno e Rovigo e il resto del Veneto. Per questo voglio fissare i fondi pluriennali di investimento di Mit, Mise, Mef, della presidenza del consiglio che oggi vengono attivati in base a priorità stabilite dal governo. Così, invece, i fondi saranno vincolati prioritariamente e automaticamente alle aree meno sviluppate».
Una volta fatta la legge quadro?
«I lavori con le delegazioni trattanti continuano. Vorrei innestare le singole intese dentro la legge quadro. Poi si arriverà alla firma dell’intesa fra Regione ed esecutivo e si tornerà in Parlamento. E sarò il primo a difenderla. Se l’istruttoria è ben fatta non si rischia il Vietnam in aula».
Prevede l’emendabilità?
«Certo ma con metodo per evitare tempi biblici. Si può pensare a un’unica commissione, la Affari costituzionali come per la legge di bilancio».
Qual è, nel merito, lo scoglio maggiore?
«La scuola. Rischiamo di schiantarci se si pretende la regionalizzazione. Ma sulla garanzia di continuità dei docenti e altri temi di gestione i veneti hanno ragione da vendere».
E sempre nel merito, da dove si riparte?
«Dallo stato dell’arte appena inviato ai tre governatori. Mi auguro tenendo i punti di accordo e lavorando alacremente su quelli che erano oggetto di un nulla di fatto. I margini per modificare ci sono e restano ampi».
Cosa non andava nel vecchio modello?
«Il rischio che si sostituisse lo statalismo centrale con uno statalismo regionale».
La legge quadro
Per tenere insieme il Paese (ma anche le aree meno sviluppate del Nord) serve prima una legge quadro che riduca le diseguaglianze e fissi i Lep