Dazi, per i formaggi veneti vendite raddoppiate negli Usa
Riempiti i magazzini prima dei rincari: «Ma ora effetti sui prezzi del latte»
Per i formaggi stagionati più pregiati negli ultimi due mesi è stata una corsa contro il tempo verso gli Usa. Adesso i magazzini d’oltreoceano sono colmi, per tre o quattro mesi le scorte potranno ancora essere vendute ai prezzi di prima, al netto dell’onestà dell’importatore e di tutta la filiera che viene dopo. Poi il rincaro innescato dai dazi dell’amministrazione Trump sui prodotti alimentari europei sarà inevitabile.
Nisio Paganin, direttore di Agriform, il consorzio veneto fra i maggiori esportatori di formaggi tipici, ritiene tuttavia sia un po’ troppo presto prevedere come si comporterà il consumatore americano nei confronti soprattutto di Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Posizionati sulla fascia alta di prezzo ed acquistati per lo più a pezzi di 100-200 grammi da clienti con buona capacità di spesa e molto attirati dall’agroalimentare Made in Italy, forse non sarà qualche dollaro in più sul carrello del supermercato a fare la differenza. E forse, benché siano i grandi stagionati ad essere colpiti più duramente, a patire di più potrebbero essere i produttori di formaggi meno nobili.
Perché? «Quelli che giungono negli Usa dal Nord Europa, soprattutto dalla Germania – spiega – si troveranno respinti dalle barriere doganali. E, come spesso accade, il sistema caseario tedesco cercherà sfoghi nel nostro Paese. Sarà questa aggressione commerciale – riflette Paganin – quella che potrà darci più pensiero».
Per il resto non si può che aspettare. Gli importatori americani, subodorando l’eventualità dell’introduzione dei dazi, già da luglio avevano cominciato a chiedere Grana e Parmigiano in quantità superiori. «Per quanto ci riguarda almeno il doppio del solito – prosegue il direttore di Agriform –. E così negli ultimi due mesi abbiamo mandato una quarantina di container, cioè 6-700 tonnellate in più, considerando che sono quattromila le tonnellate in genere esportate negli Usa nell’arco di un anno». Per un po’, dunque, il flusso si arresterà; quando le scorte saranno smaltite si potrà tornare a ragionare.
«A ragionare, possibilmente – esorta ancora Paganin – perché l’operatore anziché il cervello spesso preferisce usare la pancia. E l’aspetto psicologico è il terreno sul quale si sviluppa il gioco delle speculazioni. Ricadute economiche ce ne saranno senz’altro; ma se non si mantiene il sangue freddo le conseguenze maggiori potrebbero essere quelle a base emotiva, più che reale. Fra l’importatore e il consumatore finale la catena del valore è lunga, non siamo nelle condizioni di comprendere oggi quanto le sovrattasse alla dogana peseranno sul portafoglio dei consumatori americani e dunque è impossibile immaginare come questi si comporteranno, cioè quanti di loro dirotteranno le scelte sulle imitazioni dell’Italian Sounding. Che sono, detto per inciso, produzioni immesse sul mercato quasi tutte da discendenti di emigranti italiani, e per capirlo basta leggere i nomi delle aziende sulle etichette».
Per il Veneto la partita complessiva del business dei prodotti lattiero caseari verso gli Stati Uniti vale poco più di 31 milioni di euro, e quanto pesi il Grana Padano lo si può comprendere considerando che fra questo e il Parmigiano Agriform esporta per circa 35 milioni di euro. «Ad oggi comunque navighiamo a vista – è l’opinione di Antonio Bortoli, direttore di Lattebusche – ma se davvero anche i Paesi dell’Europa centrale saranno toccati, il surplus di materia prima, intesa come ettolitri equivalenti di latte, è una prospettiva verosimile. I prezzi in queste circostanze tendono ovviamente a diminuire e dunque nei Paesi che acquistano latte dall’estero, Italia compresa, si può immaginare cosa potrebbe accadere agli allevatori».