Gloria Hooper, le ali ai piedi verso Tokyo
La veronese ha guidato la staffetta al settimo posto iridato: «Ora miro ai 200»
Era dal ’91 che la 4x100 femminile azzurra non entrava in finale a un Mondiale. Ventotto anni. Quanti Gloria Hooper ne compirà il 3 marzo prossimo. Lei, Johanelis Herrera, Anna Bongiorni, Irene Siragusa, le ragazze del settimo posto di sabato scorso a Doha. Velocista nata a Verona da genitori ghanesi, due bronzi europei Under 23 nel 2013 (nei 200 e nella 4x100), 16 titoli nazionali, la rassegna in Qatar riporta Hooper sui radar.
Confidavate di poter riscrivere un pezzo di storia dell’atletica azzurra, Hooper?
«Ci speravamo. I presupposti onestamente non c’erano. In stagione sono stata l’unica delle tre a non infortunarsi, pur correndo a ritmi altalenanti per problemi di metabolismo legati al ferro. I risultati alle spalle non autorizzavano pensieri alti. Però ci abbiamo creduto e in pista eravamo libere, o la va o la spacca».
È andata. Però il primo mondiale d’atletica in Medio Oriente non è andato benissimo: caldo, maratoneti svenuti, scarna cornice di pubblico. Al Corriere di Verona Gelindo Bordin ha detto che spera serva da lezione: mai mettere lo sport in secondo piano. Lei come la vede?
«Io venivo dall’Inghilterra e trovare venti gradi in più, con quell’umidità asfissiante, non è stato facile. Di notte la cappa aumentava pure. Noi velocisti eravamo fortunati, sia lo stadio di gara sia quello indoor per riscaldarsi erano climatiz
zati, ma per passare tra l’uno e l’altro facevi un pezzo a piedi, fuori all’aperto, con sbalzi enormi. In realtà il caldo per un velocista aiuterebbe perché fa andare i muscoli, ma quando è troppo rischi di arrivare
già stanco alla gara».
Nella 4x100 ha ritrovato una vecchia conoscenza dei tempi di Verona, Johanelis Herrera, nata a Santo Domingo ma cresciuta qui in città correndo con Pindemonte e Fondazione Bentegodi…
«Johanelis la incrociavo alla pista Santini. Non ci eravamo mai allenate insieme, prima. È molto solare, energica, una ragazza che ti mette di buon’umore».
Diceva dell’Inghilterra: dopo gli allenamenti a Verona, Vicenza e negli Usa con Loren Seagrave, dall’ottobre 2017 lei lavora a Canterbury con June Plews, allenatrice dell’ostacolista Jack Green. Come sta andando?
«Ho trovato un equilibrio e una stabilità nei tempi. Vengo da diversi allenatori. Con Seagrave, dopo tre anni, non vedevo i risultati che mi aspettavo, e probabilmente era finito un ciclo anche sul piano umano».
Dopo gli anni a Verona in Inghilterra ritrova anche la famiglia, giusto?
«Sì, due delle mie sorelle sono andate a vivere a Londra, i miei genitori invece a Liverpool. Averceli vicini è importante».
Con Johanelis e la staffetta avete staccato il pass per Tokyo 2020. Lei era già stata a Londra 2012 e Rio 2016, eliminata in entrambi i casi alle batterie nei 200 metri. Lì nei 200 a che punto è?
«Uno dei prossimi obiettivi è fare il tempo minimo. In alternativa, col nuovo sistema, valutano anche il punteggio in base alle gare che fai. Ma è meglio la prima via».
E i 400 metri?
«Fin qui, tra me e loro, è stata una battaglia. Mi piacerebbe puntarci andando avanti con gli anni. Ora no».
A Verona studiava biotecnologie: sta andando avanti?
«Non esattamente. Quel tipo di percorso l’ho dovuto lasciare. A Canterbury ho ripreso con biologia».
Il nuovo allenatore «Con Plews ho trovato finalmente l’ equilibrio e la stabilità nei tempi che volevo»