«L’Atala nuova a 15 anni, un sogno»
L’ex infermiere di Borgo Roma vanta 800 vittorie nelle categorie dei dilettanti e degli amatori Quella colletta in fabbrica per comprargli la bicicletta Al passaggio tra i professionisti preferì l’ospedale
Nessuno come lui, Eddy Merckx. Onnivoro e insaziabile, talvolta fino all’ingordigia tanto da passare alla storia come «Il Cannibale», il suo è un record di vittorie inarrivabile: su 1800 corse su strada, ne ha vinte 525. Eppure, non ce ne voglia il grande Eddy, c’è chi è riuscito a far meglio. Ed è un baldanzoso pensionato di San Giovanni Lupatoto che la vita se l’è sciroppata in bicicletta e da infermiere in corsia all’ospedale di Borgo Roma. E non è uno scherzo. Chiedete un po’ al popolo del pedale veronese chi è Carlo Cavazzana, e vi risponderanno in coro «Cavazzana? Un fenomeno!». Sull’attenti prego, che lui di corse, tra dilettanti e amatori, ne ha vinte 800. Tutto documentato su uno scrupoloso e dettagliato diario che gelosamente conserva. A 76 anni, con l’argento vivo nelle gambe e una forma smagliante, lui parte da solo dalla sua casa al Saval, pedala lungo il Lungadige fino alla diga del Chievo, divenuta negli anni una sorta di Piccadilly Circus dei cicloamatori di casa nostra, e si aggrega al primo gruppo buono («Tanto li conosco tutti«). Poi se ne sta lì a frullare chilometri, e sugli strappi non molla di un centimetro che sia uno. Mai.
Classe 1943, papà operaio in fabbrica a San Giovanni Lupatoto, mamma casalinga, un fratello, Massimo ciclista pure lui, una sorella. Cavazzana della bicicletta s’innamora da ragazzino quando lustra catene e telai nella bottega di Nino Mozzo, pistard campione lupatotino degli anni trenta: «Massimo lavorava in fabbrica; io a undici anni mi dividevo tra le biciclette di Mozzo e le consegne del pane e del latte». A San Giovanni Carlo è al via della sua prima garetta di paese, una sprint: «Avevo una bici sportiva, mica quella da corsa. Mozzo mi disse “stai a ruota e lanciati agli ultimi 150 metri”. Così feci. Se li battei con una bici sportiva, significa però che i miei avversari non erano un granché».
Con le mance in musina se ne compra una da corsa usata. A 15 anni Carlo entra alla «Bario e derivati» di San Giovanni, ma in testa ha solo la bicicletta: «La mia era sgangherata e sempre rotta: in fabbrica fecero una colletta e acquistarono un’Atala nuova per me. Mi parve un sogno». Passa dagli Esordienti alla categoria Allievi con la maglia della Garibaldina, a vent’anni è nei Dilettanti: «Di giorno lavoravo, di sera mi allenavo». Vince la sua prima corsa nel 1963, quando stacca tutti a Ronco Levà; nel 1966 è campione provinciale. Tra i dilettanti mette all’incasso 14 corse, incrocia sulla strada un ragazzo trentino che va fortissimo: «Alla Bassano-Trento, sulla salita di Castello Tesino Francesco Moser era rimasto attardato per un problema al cambio. Pur potendo spingere solo un rapportone durissimo, ci raggiunse. Impressionante. Nel 1986 mi trovai a pedalare inch’egli sieme a lui sul Fedaia, mentre preparava il record dell’ora al coperto. Si ricordava ancora di quel giorno». Quando la fabbrica chiude, Carlo punta tutto sul ciclismo a un futuro tra i professionisti. Nel 1971 il grande salto sembra cosa fatta ma a casa arriva una telefonata: «Mi chiamarono dall’ospedale di Borgo Roma per un posto di infermiere. Mi dissero che se non avessi accettato, una simile occasione non l’avrei più avuta. Io sognavo di correre in bicicletta, ma un posto come quello non lo potevi rifiutare, così lo presi al volo».
È il 1972, Carlo ha smesso di correre e incontra una ragazza di San Zeno; quattro anni più tardi la porta all’altare: nel 1976 nasce Patrizia, due anni dopo Andrea. Il fratello Massimo, anex dilettante, corre tra gli amatori: Carlo la voglia di battagliare in gruppo non l’ha persa, così si rimette in sella con Massimo e inanella successi su successi: quattro titoli mondiali, un Mundialito, cinque campionati regionali, tre italiani, un Giro d’Italia nel 1983, e una serie innumerevole di corse. In volata, in salita, a cronometro, davanti c’è sempre lui: nel 2006 arriva a vincere 63 gare in un solo anno. Come dire, se di «Cannibale» ce n’è uno, abbiamo come minimo scovato suo cugino. In pensione dal 2000, dopo trent’anni di servizio ospedaliero a Borgo Roma, nel 2016 firma a 73 anni le sue due ultime vittorie: per distacco a Domegliara e in volata a San Michele. Totale ottocento centri, tutti riportati sul suo personalissimo almanacco. Smette nel 2017: «Fui investito da un’auto: una botta in testa e tanto spavento. Ma quel giorno decisi di chiudere con le corse. Oggi mi diverto con le mie tre uscite alla settimana, perché senza bicicletta proprio non so stare. Il ciclismo è dentro di me».