Pillole di futuro tra sostenibilità e intelligenza artificiale
Le chance del settore: dai materiali di scarto alla mobilità cittadina
Si è chiuso ieri il festival Univerò. Gli ultimi eventi tra sostenibilità e intelligenza artificiale.
C’è chi, abbracciando già nel ’94 l’idea di sostenibilità ambientale, all’epoca ancora fuori da molte agende e ritornelli, si trova oggi a studiare nuove vie nel «riutilizzo della fibra di carbonio che l’industria aerospaziale butta via». Per Susanna Martucci, lei che con la sua Alisea è partita venticinque anni fa da Vicenza per diventare un volto nazionale del design sostenibile, uno dei prossimi scenari nel settore dei materiali di scarto è quello lì: «Ormai sono i clienti a cercarci. Siamo partiti andando dalle aziende e proponendo di recuperare i loro scarti per costruire oggetti che ne raccontassero la mission. Anche oggi continuiamo a lavorare solo in Italia perché i clienti devono poter controllare la filiera». Matite, giacche, magliette e penne ricavate da fialette dell’aerosol, banner pubblicitari, catarifrangenti di macchine rottamate o grafite, è il lavoro di Martucci, secondo la quale «tra la mia generazione e i giovani odierni c’è un abisso di consapevolezza sul tema della sostenibilità: noi non sappiamo dove sbattere la testa, loro sono in vantaggio e possono davvero cambiare i consumi del mondo». Moderato dal giornalista del Corriere di Verona Lorenzo Fabiano insieme a Paola Signori, docente di Economia aziendale, l’incontro di Univerò sul «Ruolo dei giovani verso la sostenibilità collaborativa» aveva altri quattro ospiti: Cesare Avesani Zaborra, direttore di quel Parco Natura Viva che cura circa 200 specie a rischio estinzione, Lorenzo Orlandi di Rete Innovazione Sostenibile, Michela Crivellente di Bit Mobility e Arianna Costa di Enactus Verona.
Gestore al contempo di una struttura ricettiva, Zaborra può parlare di sostenibilità da due punti di vista: «Intanto in Italia manca una politica che produca incentivi: chi vuole la sostenibilità deve essere disposto a pagare molto di più di chi non la vuole, vedi il cibo scadente che costa meno e le posate in plastica. Occupandomi soprattutto di ambiente animale, poi, sostenibilità significa anche dare un futuro alla fauna selvatica e purtroppo da noi non esiste una formazione che prepari i ragazzi a lavorare con le specie a rischio d’estinzione. Se pensiamo poi al leopardo delle nevi, l’animale sterminato per avere quel cachemire di cui l’Italia è il primo Paese importatore, capiamo quanto siamo indietro». Dice Orlandi di Rete Innovazione Sostenibile: «Spesso i nostri interlocutori, aziende o istituzioni, non conoscono i contenuti della sostenibilità e vengono stimolati dal vederci vantaggi di tipo economico sul breve anziché lungo periodo». Ad della veronese Bit Mobility, azienda di monopattini elettrici, Michela Crivellente rimarca che «le posizioni aperte nel nostro settore sono molte e in futuro vogliamo arrivare a una movimentazione delle città che comprenda anche motorino e macchina elettrica in sharing». Infine l’esempio di Arianna Costa e del team Enactus Verona, parliamo di studenti dell’università e del loro progetto «Rewind for future»: si guarda a donne in difficoltà che mettono a disposizione le loro capacità sartoriali per realizzare accessori da scarti tessili di industrie locali e il progetto ha rappresentato l’Italia, a settembre, al World Project Fair in California, negli Usa.
Il nodo
«Spesso aziende e istituzioni ignorano le opportunità a lungo termine»