«Noi del Suem siamo stati stesi da un soldato»
«Suem 118». «Pronto, correte, c’è un soldato americano a terra, incosciente». Inizia così, una sera di qualche mese fa, l’odissea di un equipaggio del servizio di emergenza, aggredito dal militare, che era sotto l’effetto di stupefacenti. «Voi tre da qui non uscite vivi», le sue parole minacciose prima delle botte.
«Suem 118». «Pronto, correte, c’è un soldato americano a terra, incosciente». Inizia così, una sera di qualche mese fa, l’odissea di un equipaggio del servizio di emergenza. Autista dell’ambulanza, medico e infermiera si precipitano sul posto, caricano a bordo il militare, sotto l’effetto di stupefacenti, e partono. Ma a quel punto lui si «sveglia» e in inglese minaccia: «Voi tre da qui non uscite vivi». L’infermiera, italo-americana, capisce e grida: «Tutti fuori, presto!». Troppo tardi, l’uomo sferra un pugno all’orecchio del medico, che perderà l’udito e oggi è costretto a usare un apparecchio acustico. Poi tenta di strangolare l’autista, che sviene. Intanto l’infermiera scappa in strada, viene rincorsa e allora torna in ambulanza e si barrica dentro. Ma il soldato rompe i vetri a pugni e lei si salva solo perché in quel momento arrivano i carabinieri, che lo arrestano.
Storie di ordinaria trincea di scena tutti i giorni, in tutti gli ospedali del Veneto. C’è il ferito lieve dell’incidente stradale che prende a calci e pugni l’infermiere che lo aiuta a scendere dall’ambulanza e a entrare in Pronto Soccorso. Dove lo stesso paziente sputa in faccia al medico che lo accoglie. C’è la Guardia medica che si sente dire dalla 25enne alla quale ha rifiutato un antidolorifico: «Ti aspetto fuori». E poi c’è Anna, anche lei Guardia medica, presa a calci al sesto mese di gravidanza. «E’ successo in ambulatorio — racconta — è arrivata una cinquantenne, camminava a fatica con una stampella e lamentava dolori addominali. Aveva problemi psichiatrici: quando le abbiamo detto di sedersi in sala d’attesa e aspettare il suo turno, ha iniziato a urlare, simulando i dolori del parto. Delirava, fingeva il travaglio, così ho spostato gli altri pazienti in un’ala protetta e le ho detto di entrare a farsi visitare. E’ diventata aggressiva e mi ha sferrato un calcio alla tibia». Nelle sue condizioni per Anna non è stato facile restare calma, ma è riuscita a chiamare la polizia e i vigili, per poi procedere al Tso. «Purtroppo noi Guardie mediche donne siamo ad alto rischio, soprattutto nelle visite domiciliari, che dobbiamo effettuare da sole — dice Ilaria Spiller, responsabile di categoria per Vicenza
—. In ambulatorio non va meglio: non ci sono vigilantes, nè videosorveglianza o sistemi d’allarme. Le sbarre non sono state messe a tutte le finestre e i vetri non sono antisfondamento. Minacce e insulti, per mancate prescrizioni di esami del sangue o strumentali che non competono a noi, sono quotidiani». Maria Sogaro
I guanti antitaglio indossati dal dottor Federico Politi, direttore del Suem 118 di Vicenza
ha preferito lasciare il servizio e diventare medico di famiglia, però non esente da pericoli. Racconta l’aggressione a un collega che ha vissuto quasi in diretta: «E’ andato a casa di una coppia di anziani alle 20, dopo la chiusura dell’ambulatorio, ed è stato accolto dagli insulti del figlio 45enne dei pazienti, stizzito per l’arrivo non tempestivo come avrebbe voluto. Quando ha scoperto di essere stato allertato solo per leggere l’esito di un accertamento — continua la dottoressa — il collega ha detto che avrebbe potuto farlo per telefono. E a quel punto è stato scaraventato in giardino». «A me è capitato un episodio simile — ricorda un medico del Suem — il genero di un anziano con edema polmonare, che abbiamo soccorso in tempo, mi ha sbattuto la testa più volte contro l’ascensore. Ho reagito, non se l’aspettava e si è fermato».