I capolavori dalla Fondazione Maeght fino al 5 aprile a cura di Marco Goldin
Quelle figure scabre, sfrondate, sottilissime e allungate verso l’alto, dall’aspetto primordiale, sono diventate delle inconfondibili icone del Novecento. Personificazioni di solitudine e fragilità, catturano l’intima coscienza dell’uomo contemporaneo le sculture di Alberto Giacometti (1901-1966), che a furia di smaterializzare e scavare i suoi personaggi è arrivato alla loro essenza più privata, tra reale e immaginario verso una dimensione «altra». Verso un tempo «altro», inseguito dal maestro in tutta la sua avventura artistica, perennemente alla ricerca di quel nucleo di eternità insito nella vita da trasporre nell’opera.
S’intitola «Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght» la mostraevento allestita fino al 5 aprile 2020 a Palazzo della Gran Guardia curata Marco Goldin - promossa da Comune di Verona e Linea d’ombra, assieme alla Fondazione Marguerite e Aimé Maeght, main sponsor Gruppo Baccini - che ricostruisce attraverso 75 tra sculture, disegni e dipinti l’intera parabola creativa giacomettiana, la sua insaziabile indagine espressiva tra astrazione e figurazione, l’ossessione della rappresentazione delle figure nello spazio.
Dalla Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence (scrigno da cui provengono quasi tutte le opere esposte, le rimanenti appartengono alle collezioni private della famiglia Maeght), ecco i primi disegni realizzati in Svizzera a poco più di dieci anni, le sculture surrealiste e dal sapore ancestrale, le teste del fratello Diego, i cani, i gatti, le foreste e le femme debout, metri di altezza, L’Homme qui marche e la Grande tête, tutti lavori del 1960, approdo della poetica dell’autore che faceva «pittura e scultura per mordere distinto la vita e l’opera di Alberto Giacometti, un mondo fatto di straordinarie relazioni con altri artisti, da Alexander Calder a Fernand Léger e Georges Braque, sotto l’egida di Aimé e Marguerite Maeght, per un racconto corale che catapulta il visitatore nella Parigi del secolo scorso, centro del pensiero e artistico internazionale delle avanguardie dell’epoca.
La rassegna scaligera è, infatti, pure la rievocazione di una bella vicenda di mecenatismo, quella dei coniugi che aprirono una galleria a Cannes prima della Seconda guerra mondiale e a Parigi dal 1945, dove due anni dopo verrà presentata l’Esposizione internazionale del Surrealismo, in collaborazione con Marcel Duchamp e André Breton. In due decenni, nella galerie parisienne sono passati gli artisti più importanti; nel 1951 la personale di Giacometti. Così Goldin accosta all’excursus dell’artista svizzero 20 capolavori dei suoi «compagni di viaggio», incursioni testimonianza delle correnti artistiche del periodo tra post cubismo, astrattismo, esistenzialismo, dalle favole oniriche di Marc Chagall al Bleu (1925) di Joan Miró e al Nodo rosso, (1936) di Wassily Kandinsky. «I Maeght - marca il curatore trevigiano - avevano stabilito un bel rapporto d’amicizia con e tra gli artisti. Una famiglia allargata, che verrà coinvolta nell’ideazione a SaintPaul-de-Vence della Fondazione Maeght, un gioiello architettonico concepito per accogliere l’arte moderna e contemporanea in tutte le sue forme inaugurato nel 1964 e che possiede oggi una delle più importanti collezioni in Europa del XX secolo». A ricordarlo, nell’ultima sala della mostra, il Bozzetto per la vetrata della Cappella della Fondazione Maeght (1962) di Braque, che crea una forma-figura di un uccello bianco dal segno armonioso e aereo, rendendolo un simbolo luminoso dello spirito.
Un grande racconto da Chagall a Kandinsky Cubismo, surrealismo, esistenzialismo con le opere provenienti dalla collezione francese
In esposizione anche «L’uomo che cammina», scultura icona dell’artista svizzero che interpreta la solitudine dell’uomo contemporaneo