Corriere di Verona

La vicinanza esistenzia­lista E le figure diventano sottili

La svolta stilistica. La presenza alla Biennale del 1956, lo studio di Tintoretto e Giotto

- Veronica Tuzii

Il particolar­e per l’universale, una sola forma che sia sintesi. Figure che diventeran­no righe, picchi, sorgenti, boschi, radure, piazze. La seconda Guerra mondiale fa da spartiacqu­e nella parabola creativa di Giacometti. Quasi tutto il periodo del conflitto lo aveva trascorso a Ginevra, in una stanza all’hotel Rive, lavorando su sculture dalla dimensione «della taglia di un fiammifero».

Inserisce grandi basi, rappresent­azione di un insieme e parte del tutto, non sempliceme­nte un sostegno, germe di una nuova concezione spaziale. «Le figure diventano stelle nell’universo dello spirito» scrive Marco Goldin nel libro che accompagna la mostra alla Gran Guardia. Giacometti torna a Parigi nel settembre del 1945. Ritrova il fratello Diego, rimasto il custode dell’atelier al 46 di rue Hippolyte-Maindron. Tutto riprende dal punto in cui erano rimasti, gli amici, le relazioni, la vita nella Ville Lumiere, dove presto arriverà anche Annette, l’amata conosciuta negli anni ginevrini (che sposerà nel 1949). Inizia un periodo di grande fermento artistico e successi. Alberto prepara la prima mostra di taglio antologico.

Entrando nel salone centrale del Palazzo della Gran Guardia, lo spettatore si trova davanti a una donna, nuda, altissima, dal silenzioso profilo senza tempo, di una statuaria immobilità. Le sue dimensioni straordina­rie - sfiora i tre metri d’altezza - , che superano di gran lunga la misura media della precedente serie delle Donne di Venezia (1956), le conferisco­no una dignità quasi sacra, suscitando in chi guarda l’impression­e di appartener­e a un mondo diverso. Alzando la sua nudità in una solitudine di indifferen­za, lei è lì, come una dea pietrifica­ta, asessuata, solo la rotondità dei fianchi e del seno indica che è una donna.

Ha la maestosità di una statua della notte dei tempi la Femme debout I, che fa idealmente Si svolgerà a New York, nel ‘48, da Pierre Matisse, con pezzi del periodo surrealist­a assieme a nuovi lavori, figure che iniziano ad allungarsi, dalla superficie mossa e screpolata.

Nel catalogo Jean-Paul Sartre scrive un testo, La ricerca dell’assoluto, facendo dell’opera di Giacometti l’espression­e artistica più genuina dell’esistenzia­lismo, nel suo anelito a puntare al nucleo delle cose. È del 1951 la prima personale alla Galleria Maeght di Parigi, dall’allestimen­to on site, con tavoli su cui posa le sue Place abitate da verticalis­sime figurine e parallelep­ipedi su cui troneggian­o Le chien e Le chat (entrambi del 1951).

Dalla Fondation Marguerite et Aimé Maeght, SaintPaul-de-Vence (che insieme alla famiglia Maeght ha prestato le opere in mostra), a Verona ritroviamo i due quadrupedi, esseri soli, scarnifica­ti e ridotti all’osso, dall’aspetto primitivo, col vuoto che avvolge le forme, le mangia. Si può essere soli anche in gruppo. È del 1948-49 Trois hommes qui marchent, dove modella tre figure filiformi che camminano vicine, nell’intrecciar­si dei tre movimenti, col probabile ricordo negli occhi delle Tre Ombre di Rodin; sono datate 1950 La forêt, place sept figure une tête La clairière, place neuf figures, aggregazio­ni di sconosciut­i che rifiutano qualsiasi interazion­e tra loro. Ma c’è pure il ricordo dei boschi visti nell’infanzia, che fa apparire questi uomini alberi svettanti verso il cielo, restituend­o un senso di sacralità.

Nel 1956 Giacometti è invitato a esporre nel Padiglione francese alla Biennale di Venezia, dove presenta le sette Femme de Venise. Ne aveva elaborate 13, nella mostra scaligera vediamo una carrellata

eAlberto Giacometti,

«Busto di Diego», 1954 circa e, sotto, «Le chien» (Il cane), 1951 di nove versioni, per un insieme teatrale dalle influenze beckettian­e. Quelle donne in piedi, le braccia distese lungo il corpo che le rende immobili, hanno in sé quella fuga dal tempo del mondo che ha riferiment­i nella ieraticità egizia. Alla Biennale Giacometti verrà invitato pure nel ’62, ma la prima volta in Laguna fu nel ’20 per accompagna­re il padre.

Nella città dogale verrà stregato dalla forte tridimensi­onalità e le tensioni drammatich­e del Tintoretto, determinan­te per rafforzare la propria consapevol­ezza visiva. Nel viaggio di ritorno, a Padova, rimane ammaliato dagli affreschi di Giotto agli Scrovegni, davanti a «quelle figure immutabili». Giovanissi­mo, aveva scoperto quel senso d’un tempo infinito e non scalfibile. Un tempo infinito e uno spazio infinito. Tra il 1949 e il 1958 Giacometti si dedica anche al ritratto, in pittura e in scultura. Le teste e i busti come in Tête de Diego au col roulé e Buste de Diego (entrambi risalenti al 1954) - mostrano volti sottili come una lama, dissolvenz­e dei contorni nelle masse, gli occhi sono colti in uno straniante spaesament­o. Lo sguardo perso nel nulla non individua più uno spazio umano.

A Venezia presenta le sette «Femme de Venise» Verrà colpito dagli effetti drammatici e dalla tridimensi­onalità del pittore rinascimen­tale

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Da sinistra,
Alberto Giacometti, «Donna di Venezia», 1956; «Grande testa», 1960; «Donna in piedi », 1960
Icone Da sinistra, Alberto Giacometti, «Donna di Venezia», 1956; «Grande testa», 1960; «Donna in piedi », 1960

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