Bimbi cinesi dormono a scuola L’auto-quarantena di una mamma
Padova, alunni di una scuola privata discriminati: l’appello degli insegnanti via chat
Chat di classe intasate, centralini bollenti, inviti alla calma, episodi di discriminazione prontamente censurati, genitori in quarantena. E ci sono anche dei bambini che dormiranno a scuola per due settimane per non entrare in contatto con loro. L’effetto coronavirus «contagia» anche le scuole del Veneto, a partire da quelle internazionali: il rischio pandemia ha tolto il sonno a molti genitori, anche perché ieri è arrivata la conferma che i due turisti cinesi ricoverati a Roma hanno raggiunto la Capitale dopo aver fatto tappa a Verona. Insomma, lo stato di emergenza proclamato a livello globale dall’Oms e a livello nazionale dal governo riguarda da vicino anche il Veneto, e come spesso avviene in questi casi il primo pensiero corre alla salute dei più piccoli. La tensione è palpabile soprattutto nella scuole con un alto tasso di studenti cinesi, e in questo senso a Padova i casi più sensibili sono tre.
Il primo arriva dalla Scuola Internazionale Italo Cinese del quartiere Arcella, l’unico collegio paritario con insegnamento bilingue italo-cinese approvato dal ministero dell’Istruzione. Dalla scuola dell’infanzia al liceo, l’istituto ospita circa 140 studenti, per tre quarti cinesi e per un quarto italiani; in base alle attività formative e alle esigenze dei genitori, alcuni di loro si fermano a dormire nelle stanze da letto messe a disposizione dalla scuola. La novità è che da qualche giorno questo gruppo si è allargato ai figli dei genitori reduci da un viaggio in Cina: d’accordo con le famiglie, infatti, la scuola ha deciso che gli studenti dormiranno nello stesso posto in cui trascorrono la giornata per i prossimi 14 giorni, il tempo di isolamento previsto dal ministero della Salute per escludere il contagio di chi torna da un viaggio in Cina. Evidentemente gli studenti in questione sono rimasti in Italia mentre i genitori erano all’estero, e ora non potranno muoversi da lì per due settimane. Per il resto, la scuola ha raccomandato agli alunni di lavarsi le mani con più frequenza e di prestare massima attenzione all’igiene.
Il secondo caso arriva da Villa Grimani International School, istituto con sede a Noventa Padovana che conta oltre 200 alunni dal centro infanzia alle superiori. Ieri sulla chat dei genitori è apparso un messaggio che fa il punto sul coronavirus; la firma è quella della scuola e la voce sembra quella degli insegnanti: «Abbiamo cercato di spiegare nel miglior modo possibile la situazione, concentrandoci sullo spiegare ai bambini come mantenersi in salute - si legge -. Alcuni bambini tuttavia hanno fatto alcuni commenti spiacevoli diretti ai nostri studenti cinesi, e alcuni sostengono addirittura che è stato detto loro di non sedersi vicino a loro o di non giocare con loro». Gli autori del messaggio quindi chiedono ai genitori «di essere consapevoli di ciò che i vostri bambini stanno guardando in tivù e di ciò che dite loro del coronavirus»; il preside, contattato ieri pomeriggio, ha preferito non commentare.
E nessun commento è arrivato nemmeno da The English
International School of Padua, istituto del quartiere Forcellini che ospita 800 studenti di 48 nazionalità. Tra loro ci sono anche molti cinesi figli di genitori impegnati in attività di import/export, o comunque abituati a fare la spola con la Cina per lavoro. Ad agitare le famiglie sono due mamme cinesi che avrebbero deciso volontariamente di mettersi in isolamento per due settimane; una di loro in particolare si sarebbe trasferita in un appartamento da sola, e avrebbe chiesto al marito di lasciarle il cibo fuori dalla porta. I genitori italiani inoltre raccontano che i bambini cinesi vengono emarginati dai loro compagni. «Noi non vogliamo escludere nessuno, ma la scuola deve prendere una posizione - commenta una mamma -. La quarantena non può essere un’iniziativa personale, la mancanza di comunicazione sta generando un allarmismo esagerato».
Un genitore La quarantena non può essere un’iniziativa personale, deve intervenire la scuola