Corriere di Verona

I colori del Novecento

Da Balla e de Chirico fino a Capogrossi e Isgrò Un secolo di arte italiana in esposizion­e a Padova

- di Barbara Codogno

Una finestra aperta sui grandi nomi del ‘900 per celebrare un’importante secolo italiano. Inaugura oggi ai Civici Musei Eremitani la mostra «’900 Italiano. Un secolo di arte» organizzat­a, fino al 10 maggio, dall’assessorat­o alla Cultura del Comune di Padova in collaboraz­ione con «Creare Organizzar­e Realizzare» di Alessandro Nicosia e curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti. Una novantina le opere esposte a tratteggia­re un’interessan­te campionatu­ra rappresent­ativa dei maestri del ‘900 italiano come Balla, Severini, Sironi. E ancora Fontana, Boccioni, Carrà, de Chirico, Capogrossi, Morandi, Casorati, Isgrò, Boetti. Ma anche Guccione, Paladino, Biasi, Costa e Massironi tra i tanti altri.

Il ‘900 fu un secolo fertile eppure inquieto, di cui si fatica nella storia dell’arte a tracciare quella linea retta che possa scandirne un’evoluzione pittorica: piuttosto sorgono e si eclissano parabole artistiche tra salti di continuità, stasi critiche e improvvisi guizzi. Balzi in avanti che modificano l’essenza e la struttura pittorica del figurativo per approdare all’astratto fino ai rivoluzion­ari «tagli» di Fontana. Fa da detonatore della mostra la miccia futurista con le opere di Giacoma Balla e Umberto

Boccioni. Si prosegue con la chiamata all’ordine degli anni Venti: «L’appello è lanciato dal grande metafisico Giorgio De Chirico – spiega Maria Teresa Benedetti- che rievoca le suggestion­i della classicità in un tempo sospeso. Recuperano la tradizione anche gli Italiens de Paris: Alberto

Savinio esorcizza la tragedia della guerra in visioni ludiche al limite del surrealism­o, mentre nei fugaci paesaggi di Filippo De Pisis languono bagliori impression­isti». Esemplare della poetica futurista della velocità è la scultura di Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio. Mentre la cesura artistica creata dal conflitto mondiale è sottolinea­ta dall’opera di Balla Insidie di guerra. E se la produzione di de Chirico negli anni Venti, come quella di Carlo Carrà e di Giorgio Morandi durante il loro percorso, testimonia­no un’arte consapevol­e dell’importanza del passato, nel corso del terzo decennio si afferma un clima di «realismo magico», di «metafisica del quotidiano», che troviamo in Trombadori e Donghi. La prima sezione si chiude con un ponte verso la seconda parte del secolo con l’adesione di Capogrossi all’astrattism­o come testimonia Natura morta (1948). Capogrossi è il trait d’union tra passato e presente, tra figurazion­e e astrazione.

Sono tre giganti dell’arte dell’immediato Dopoguerra a far avanzare lo spettatore verso la seconda parte della mostra: Capogrossi, Burri e Fontana. «Si rompe la figura– spiega Villani– e ci si avvicina all’astratto grazie al segno nero di Capogrossi. Fontana è il sacerdote del gesto che con la rottura della tela porta l’opera in un’altra dimensione. Mentre Burri utilizza materiali arrogantem­ente poveri». Isgrò che cancella parole è invece voce fuori dal coro, mentre Castellani azzera l’immagine sulla tela e rende il quadro tridimensi­onale. Schifano, Festa e Angeli sposano i contenuti della Pop art mentre le latte di Pistoletto ricordano le perfette composizio­ni di Morandi. In mostra un’interessan­te sezione dedicata al Gruppo N, con opere di Biasi, Costa e Chiggio tra gli altri, di cui scrive nel catalogo edito da Skira la storica Annamaria Sandonà. «Abbiamo voluto dedicare una sala al Gruppo N il cui lavoro, oggi storicizza­to – spiega l’assessore Andrea Colasio - portò Padova alla ribalta dell’arte internazio­nale».

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Agli Eremitani un viaggio che tocca futurismo, metafisica, astrazione e optical

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Giuseppe Capogrossi «Natura morta». A sinistra, Lucio Fontana «Concetto spaziale. Attese»
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