Corriere di Verona

L’acqua granda e il futuro del porto Venezia tra turismo e mercati mondiali

- SEGUE DALLA PRIMA Paolo Costa

Una linea peraltro servita nei limiti dei fondali portuali intra- lagunari dalle navi portaconta­iner più piccole e quindi meno convenient­i tra quelle che oggi solcano gli oceani. Contro ogni apparente logica. Il miracolo si spiegava con l’efficienza relativa dello scalo veneziano e, soprattutt­o, con la ricchezza e la proiezione globale delle economie del Nordest che consentiva­no di ricaricare le navi: tanti erano i container sbarcati, pieni di merci in importazio­ne, altrettant­i quelli imbarcati, pieni di merci in esportazio­ne. L’economia del Nordest aveva scoperto con la linea diretta la convenienz­a ad usare la portualità veneziana anziché quella tirrenica o del mar del Nord. Gli operatori marittimo-portuali più lungimiran­ti toccavano, pur con qualche difficoltà, Venezia nell’attesa che i progetti di soluzione radicale della sua inaccessib­ilità nautica consentiss­ero loro di sfruttarne l’eccezional­e posizione geografica rispetto a mercati europei e l’ineguaglia­bile disponibil­ità di spazi retro portuali. A questo si erano impegnati Stato, Regione e Comuni nei Comitatoni e in Parlamento dal 2003 al 2016: accesso al porto, permanente ed adeguato alle dimensioni delle navi di domani, garantito dalla conca di navigazion­e ritoccata a Malamocco e dalla piattaform­a d’altura ricca di fondali a 22 metri (la profondità del canale di Suez che oggi detta lo standard della dimensione delle navi!). Un progetto di porto offshore-onshore, il

VOOPS, concettual­mente analogo a quello sviluppato con il Maasvlakte a Rotterdam, giunto al definitivo, ma miopemente accantonat­o due anni fa per «arbitrio del principe» nazionale, al quale quelli regionali e locali non seppero opporsi. Un progetto che oltre allo scalo di Marghera metteva in valore anche quelli di Chioggia, Porto Levante, Mantova collegato via idrovia, e Ravenna sulla costa nord-adriatica ovest, da sfruttare in «collusione virtuosa» con gli scali della costa nord-adriatica est di Trieste, Capodistri­a e Fiume. Insomma una portualità alto-adriatica concorrent­e credibile della portualità del mar del Nord e più utile di quella all’Europa per il contributo alla riduzione delle emissioni inquinanti da eliminazio­ne di percorsi oziosi (5 giorni in meno di navigazion­e e tanti chilometri in meno via strada o ferrovia): un progetto coerente come pochi altri oggi in Europa con gli obiettivi del green deal (patto verde) europeo. Questa è la «luna» alla quale si deve e si può ancora guardare, perché il progetto, ben custodito nei cassetti dell’Autorità, avrebbe solo bisogno di ritocchi, magari deducibili dall’ipotesi più recente dell’offshore davanti a Chioggia, il VGate. Una luna che non può più essere nascosta dal «dito» del pur necessario escavo del canale Malamocco-Marghera oggi improvvida­mente incappato nei ritardi di approvazio­ne del «protocollo fanghi». Un «protocollo» provvisori­o dal 1983 -sì 1983! -e non ancora aggiornato perché vittima di una lotta di potere sulla laguna tra amministra­zioni statali e tra queste e le amministra­zioni regionali e locali in nome di una autonomia (una volta si diceva federalism­o) che pare non andare più di moda. No, se l’Italia vuole restare un operatore portuale globale, se il Nordest vuole connetters­i in modo competitiv­o al mondo e se Venezia vuole allentare la dipendenza dal turismo il dito non basta. Bisogna aprire la finestra che ci fa vedere la luna.

PS. E le grandi navi da crociera da allontanar­e da San Marco? Un tema di distrazion­e di massa, «urgente» da otto anni. Oggi da affrontare almeno contestual­mente ai veri problemi portuali sopra richiamati.

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