Luciano Benetton licenzia Toscani «Noi vicini alle vittime di Genova»
Il fotografo cacciato da Fabrica dopo le parole choc sul ponte. Era stato richiamato nel 2017
È finita come finì vent’anni fa, nell’aprile del 2000. All’epoca fu la campagna contro la pena di morte, che scandalizzò gli Usa, fece finire Benetton sul banco degli imputati in Missouri e costrinse la catena di grandi magazzini Sears a rompere il contratto per via della «pubblicità vergognosa», a segnare la fine della collaborazione tra i Colori Uniti e Oliviero Toscani. Stavolta sono state le sconclusionate parole consegnate alla radio dal fotografo sulla tragedia del Ponte Morandi («Ma a chi volete che interessi se casca un ponte?»), dopo le polemiche scoppiate per la visita delle Sardine a Fabrica, a convincere la famiglia di Ponzano che il limite è stato oltrepassato e avanti così non si può più andare. «Benetton Group, con il suo presidente Luciano Benetton, nel dissociarsi nel modo più assoluto dalle affermazioni di Oliviero Toscani a proposito del crollo del Ponte Morandi, prende atto dell’impossibilità di continuare il rapporto di collaborazione con il direttore creativo - si legge in una nota diffusa ieri -. Luciano Benetton e tutta l’azienda, rinnovano la loro sincera vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti coloro che sono stati coinvolti in questa tremenda tragedia».
Una decisione, quella vergata personalmente dal presidente dopo una telefonata con Toscani, anticipate mercoledì dal post su Instagram del figlio Alessandro, che rispondendo a un commento comparso sul suo profilo era tato lapidario: «Mi dissocio fortemente dalle affermazioni fatte da Toscani». Parole che hanno interpretato il pensiero di tutta la famiglia (e dell’azienda: Gianni Mion, presidente di Edizione, ha definito l’uscita di Toscani «un attacco di senilità»), culminato nell’allontanamento immediato, visto che già ieri il fotografo ha lasciato Fabrica, dove ricopriva il ruolo di direttore creativo. Non sono bastate, evidentemente, le sue pubbliche scuse («Mi scuso. Di più: ho vergogna anche di scusarmi. Sono distrutto umanamente e profondamente addolorato») peraltro accettate da Egle Possetti, presidente del Comitato Vittime del Ponte Morandi, anche se «è chiaro che resta il malessere perché come si dice in questi casi, quanto stendi una persona e pianti un chiodo, poi puoi togliere il chiodo, ma il buco resta. Oltre alle scuse servono dei fatti».
E dunque si chiude così, in modo traumatico, la «seconda vita» di Toscani al fianco di Benetton, dopo la prima durata dal 1981 al 2000, diventata oggetto di studio nelle facoltà di comunicazione. Nel 2017 era stato proprio Luciano, ripreso il timone dell’azienda in grave difficoltà, a richiamare il fotografo che a sua volta portò a Ponzano Jean-Charles de Castelbajac, che resta direttore creativo delle collezioni. Toscani, da molti considerato «la voce» capace di interpretare con irriverenza i pensieri del silenzioso e impenetrabile Luciano, con licenze tollerate a fatica dalla famiglia, negli ultimi anni è stato spesso protagonista di svarioni clamorosi, dai «veneti atavici ubriaconi» ai coloriti insulti ai leghisti d’ogni ordine e grado, da Zaia a Bitonci. Dopo la tragedia di Genova, controcorrente, ha preso in più occasioni le difese di Benetton, proprietari di Autostrade per l’Italia («Gli italiani sono un popolo di infelici, incattiviti» e ancora, «chi ha scritto quegli attacchi sui social è il malato moderno che farebbe bene ad andare dallo psicanalista») e chissà, magari pure l’altro giorno l’intento era quello. Ma l’errore è stato grave, imperdonabile. Anche per «il signor Luciano», costretto a mettere alla porta il fotografo che Elio Fiorucci gli fece incontrare nel 19802 al ristorante La Torre di Pisa di Milano, sospirando: «Siete proprio fatti l’uno per l’altro».