CATTOLICI, LA POLITICA «DEBOLE»
La politica «debole» dei cattolici in Veneto. Sparsi tra centrodestra e centrosinistra, per lo più demotivati da un astensionismo sterile che tradisce la loro vocazione alla partecipazione attiva, sembrano diventati afoni, ritratti entro rassicuranti mura domestiche, silenti anche su temi etici epocali, a partire da rispetto, sicurezza, libertà, ambiente. Trascurate le loro proverbiali abitudini, le percezioni che ci offrono sono di un disincantato disimpegno dalla vita pubblica, se si trascura la loro presenza soprattutto nell’associazionismo del volontariato sociale e, in una qualificata minoranza nella promozione e difesa della vita (con le dovute eccezioni). Sempre più alla ricerca di una nuova bussola in grado di offrire orientamenti. Pressoché inascoltato il monito di Papa Francesco, che già nel settembre di cinque anni fa, incontrando la Chiesa italiana in un celebre appuntamento a Firenze, sottolineava: «La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media». E poi suggeriva: «Ricordatevi che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà».
C’è in effetti qualche risveglio. Nella primavera dello scorso anno il «Forum di Limena» – animato da un gruppo di cristiani, laici e religiosi - si era impegnato a dare delle linee, ad indicare «un futuro che vogliamo», con presenze molto diversificate, con aperture di solidarietà, sollecitazioni alla convivenza, attraverso gesti, parole, scelte concrete. Senza la pretesa di imporre idee, piuttosto «rompere il silenzio e sollecitare il confronto». Oggi alle 15, ancora a Limena, ci sarà l’occasione per un significativo approfondimento ed il lancio di alcune proposte su un problema di scottante attualità. Il tema è «Demografia e welfare sostenibili: il Veneto e le sue comunità locali», a partire dalla ricerca curata da Maria Letizia Tanturri e Giampiero Dalla Zuanna, demografi dell’Università di Padova, promossa da un gruppo di lavoro dell’Asvess (Associazione veneta per lo Sviluppo Sostenibile), guidata da Giorgio Santini.
Il welfare veneto ha alcune peculiarità che lo studio riconosce, con alcuni pregi (il primo è la prossimità e scambi gratuiti fra parenti, a partire dalla vicinanza e disponibilità dei nonni, il boom del lavoro domestico retribuito) e qualche significativo difetto come la solitudine e le povertà di chi non ha una famiglia, il freno alla mobilità sociale, la silenziosa iniquità del sistema successorio, la trappola del welfare al femminile, la dipendenza prolungata dalla famiglia d’origine e non ultimo quel welfare familiare che diventa motore segreto della bassa fecondità.
Una strategia per superare lo spopolamento risulta allora indispensabile. Utile offrire alcune indicazioni sugli interventi possibili nelle realtà venete. Alleanze territoriali a sostegno della famiglia sono già attive in questa regione. Occorre forse dare consistenza strutturale e continuativa.
La sfida da affrontare è complicata, ma sostenibile. Fino a oggi, analizzando le classi di età, e il loro rapporto , si notava da noi un indice di dipendenza simile a quello dell’Europa. Ma da qualche anno l’Italia e il Veneto vivono in una «tempesta demografica perfetta», che rischia di alterare questi rapporti, tra giovani e anziani e quanti sono occupati e in età produttiva, molto più elevati rispetto alla media europea. Un solo dato: nel 2050, in Veneto ci saranno 82 persone da accudire ogni 100 persone in età da lavoro, contro 70 su 100 nella media della già vecchia Europa. Non è un problema facile da risolvere. I cattolici suggeriscono attenzione. E cercano condivisioni.