Gli acciacchi, la depressione «Scusateci»
La Cassazione boccia il taglio ai risarcimenti per li 12enne morto nel lago di Santa Croce
Il piccolo Emanuele Costa annegò in quel misto di acqua e fango che, nell’estate di 17 anni fa, era diventato il lago di Santa Croce. Da giorni Enel prelevava acqua che serviva ai contadini per far fronte alla forte siccità. E così, quel 18 luglio 2003, quando il dodicenne bellunese era sceso nelle acque basse del lago con un amichetto - mentre la mamma prendeva il sole poco distante - credeva di essere al sicuro. E invece i due ragazzini «sprofondavano nell’acqua, in una buca nella quale non riuscivano a toccare il fondo (..) e, non riuscendo a riemergere dal fango, Emanuele trovava la morte per annegamento», si legge nella sentenza con la quale il tribunale civile di Roma, nel 2010, stabilì un risarcimento di oltre 700mila euro in favore della famiglia Costa, che si era affidata all’avvocato Alessandra Gracis nella causa che vedeva, come controparti, il Comune di Farra d’Alpago, Enel Produzione Spa e la società assicurativa.
In Appello, però, i giudici avevano ridotto il risarcimento sostenendo che un po’ della colpa fosse anche della madre del ragazzino, che non avrebbe sorvegliato a dovere il figlio. A quel punto, indignati, i parenti più stretti di Emanuele avevano fatto ricorso in Cassazione. E la decisione è stata pubblicata in questi giorni: annullata la sentenza di secondo grado, si torna in Appello di Roma per un nuovo giudizio che però, questa volta, dovrà tenere conto di alcuni «paletti» fissati dalla Corte suprema. Il primo è un aspetto tecnico: l’eventuale concorso di colpa della madre, non va in alcun modo a incidere sul danno subìto dalla vittima. Semmai, l’unica condotta che potrebbe avere una rilevanza sul calcolo del risarcimento è quella dello stesso Emanuele. I giudici dovranno quindi stabilire se quello tenuto dal dodicenne fu un comportamento azzardato o no. «In realtà non c’era nulla che potesse far sospettare che quel lago quasi asciutto fosse una trappola di fango», sostiene l’avvocato Gracis. E proprio il legale della famiglia, porta a casa un’altra vittoria: la Cassazione sostiene che andrà riconosciuto anche il «danno da agonia», visto che Emanuele ebbe tutto il temo per rendersi conto che stava per morire. «L’esperienza vissuta dal piccolo Costa si legge nella sentenza - era stata terrificante, dal momento in cui aveva cominciato a sprofondare sott’acqua, cercando inutilmente di aggrapparsi all’amico».