Verdone: «Il nuovo film un inno all’amicizia vera»
All’M9 di Mestre la presentazione di «Si vive una volta sola»
L’attore e regista: la globalizzazione ha reso tutti uguali, c’è poca leggerezza
Una storia di amicizia, di un’équipe di medici molto professionale (persino il Papa si affida alle loro cure), tanto bravi nel proprio lavoro quanto le loro vite private sono disastrate. Si vive una volta sola è l’ultimo film del regista romano Carlo Verdone, che insieme a Rocco Papaleo, Max Tortora e Anna Foglietta compie un viaggio «on the road» in Puglia tra colpi di scena e momenti di comicità, fino a che emerge il vero motivo dietro alla vacanza e mutano equilibri di per sé già precari. Il film uscirà nelle sale mercoledì 26 febbraio, prodotto da Luigi e Aurelio De Laurentis e distribuito da Filmauro con Vision Distribution. Durante il tour promozionale Verdone ha fatto tappa anche a Mestre, all’M9, con un’anteprima al Candiani.
«Si vive una volta sola» debutta nelle sale a quarant’anni dal suo primo lungometraggio «Un sacco bello». Come è cambiata la società italiana dal 1980 a oggi?
«È il mio ventisettesimo film, mi sembra di aver vissuto più vite dal mio esordio: sono cambiati i colori, i costumi, i gesti, tutto. Mi sembra un altro luogo, un altro tempo, un altro Verdone. Ciò che rende difficile descrivere la società contemporanea è la globalizzazione, che ha reso le persone tutte uguali. Quando giravo Un sacco bello la gente si parlava da una finestra all’altra, ora c’è solitudine e diffidenza: non c’è più predisposizione alla leggerezza.
L’italiano medio non è nemmeno Checco Zalone, che vuole fare della scorrettezza la sua arma vincente: è un finto cafone, in realtà è molto intelligente e preparato». La genesi del nuovo film?
«Ho sentito il bisogno di tornare a un film corale. Una volta costruivo i film sui personaggi: la caratterizzazione degli esordi l’ho ripresa nel 1995 con Viaggi di nozze e chiusa nel 2008 con Grande, grosso e Verdone, voluto dai miei fan. Il tempo passa, la maschera cambia: non voglio essere ricordato come un attore patetico che cerca il passato. Questo film è un inno all’amicizia vera, quella vis-àvis, che scarseggia in un mondo che si ritira di fronte a uno smartphone». In «Viaggi di nozze», celebre è il medico Raniero: ha qualche tratto in comune con il personaggio che interpreta oggi, Umberto Gastaldi?
«Raniero è il Polo Nord e Umberto è il Polo Sud. Raniero è diabolico, porta morte alle sue mogli, come alla povera Fosca che si getta dal balcone del Danieli a Venezia. Umberto fa bene il suo lavoro, ma ha una vita privata piena di difficoltà: ha problemi con sua figlia, un “incidente di percorso” con un’infermiera. Ma è una brava persona». A proposito di Venezia, che ricordi ha?
«La frequento dalla fine degli anni Cinquanta, quando mio padre era dirigente alla Mostra del Cinema. Andavo al Lido, in via Emo, dalla famiglia Venturi. Ricordo la folla di fotografi con attori che a me non dicevano nulla: ero piccolo, guardavo i film western. Poi il primo batticuore per una ragazza, che viveva nel palazzo di fronte: non ricordo il nome, ma ho impressi i suoi capelli castani sciolti. E il parcheggio pieno di Porsche, Ferrari, Alfa Romeo, da cui è partita la collezione di macchinine».
E se dovesse ambientare un film in Veneto, che «maschera» sceglierebbe?
«È una parola, devo trovare prima un soggetto. Potrei essere un industriale, un operaio, un giocatore d’azzardo. Vorrei far vivere la location veneta, non realizzare una cartolina. Mi piacerebbe molto ambientare un film qui, è una regione interessante anche dal punto di vista umano».
Con i suoi film a episodi come «Bianco, Rosso e Verdone» ha in un certo senso anticipato il concetto di serie tv. È un format che le piace?
«Nel 2021 girerò una serie tv con Amazon, si chiamerà Vita da Carlo, di dodici puntate. Non bisogna rimanere indietro, serve conoscere le nuove prospettive del prodotto cinematografico».
Ricordo la folla di fotografi al Lido con attori che a me non dicevano nulla Ero piccolo, guardavo i film western. Poi il primo batticuore...