Nati tre bambini nell’ospedale in quarantena
Il personale: «Una notte in attesa delle analisi». Monselice chiude le scuole e sospende le feste
Nel caos di una notte trascorsa nella paura, distesi su barelle e poltroncine, c’è stato anche il modo di festeggiare: tre bambini, infatti, sono venuti alla luce nel reparto di Ginecologia Ostetricia dell’ospedale più blindato d’Italia, quello di Schiavonia. Sono due maschietti, Enrico e Gabriele, ed una femminuccia. Ed i loro vagiti hanno illuminato i volti di mamme, papà, medici e infermieri costretti ad affrontare l’improvvisa, quanto drammatica, quarantena imposta alle centinaia di pazienti, visitatori e operatori sanitari dalle 18.30 di venerdì, quando è stato ufficializzato il ricovero dei due contagiati di Vo’ Euganeo (Adriano Trevisan, 78 anni, è poi morto poco prima della mezzanotte).
Fino a quel momento la routine ospedaliera era trascorsa normalmente. «Dovevo staccare alle 20. Stava avvicinandosi l’ora delle visite ed eravamo pronti ad affrontare, oggi (ieri, ndr.), l’open day del reparto. All’improvviso è arrivato l’ordine: “Nessuno entra e nessuno esce”» racconta un’infermiera.
Lei, alle 17.15 di ieri e dopo quasi 33 ore di servizio, può tirare un sospiro di sollievo: ha appena ricevuto il «via libera» per tornare a casa. Il suo tampone, come quello di altre duecento persone «recluse» a Schiavonia, è risultato negativo permettendole - finalmente - di varcare l’uscita.
«Un’esperienza che non dimenticherò facilmente», esclama. «Avevamo il reparto pieno, con 14 neonati e 40-45 persone fra gestanti e loro compagni. Quando l’ospedale è stato chiuso siamo rimasti sorpresi, anche se da voci di corridoio sapevamo che stava accadendo qualcosa».
Una volta decretato lo stop è iniziata la lunga notte di attesa: medici e infermieri hanno ceduto le loro poltrone ai mariti delle donne incinte e il personale si è accomodato dove ha potuto. Su letti, barelle della sala operatoria... Tutti a chiedersi come sarebbe finita e in attesa delle agognate analisi, effettuate prima dell’alba. «Non c’era panico, ma eravamo preoccupati e senza nulla da mangiare: le pazienti sono state servite, ma non c’era niente per noi e i loro