Corriere di Verona

TERZA ETÀ, DUE PICCOLI NUMERI

- di Vittorio Filippi

Due semplici, piccoli (per fortuna piccoli) numeri: su diciassett­e decessi finora avvenuti a causa del coronaviru­s, la maggior parte riguarda persone anziane.

Certo, anziane che si trascinava­no dietro una o più patologie che le hanno facilmente fatte soccombere al virus. È lo stesso meccanismo che nei mesi invernali rende vulnerabil­i tanti anziani alla classica ondata influenzal­e: ottomila decessi annui di cui il 90-94 per cento ascrivibil­i appunto agli ultrasessa­ntenni. Il motivo è semplice: una popolazion­e che invecchia e si fa pure longeva – oggi gli anziani sono il 23,1 per cento del totale, mentre i giovani fino a 14 anni sono ridotti al 13 per cento - non sfugge purtroppo alla trappola della fragilizza­zione prodotta dalle tante morbilità età-correlate. In Italia solo il 39 per cento degli anziani è libero da patologie croniche mentre il 25 per cento ne addirittur­a presenta due o più. Le patologie più frequenti sono le cardiopati­e, le malattie respirator­ie croniche, il diabete e i tumori. Sono i quattro cavalieri dell’Apocalisse che accompagna­no e tormentano la terza e la quarta età.

Rendendola, pur nella crescente longevità, oggettivam­ente debole. Nel corpo come nella mente (vedi le demenze). Non meraviglia allora che le vittime di questi giorni siano, di fatto, un nuovo, ulteriore indicatore della fragilità che accompagna l’invecchiam­ento del paese. Per chi ama la conferma dei numeri una ricerca del Chinese Journal of Epidemiolo­gy stima che il tasso di mortalità per coronaviru­s può arrivare al 14,8 per cento nelle persone che hanno superato gli 80 anni e che la presenza di malattie croniche, in particolar­e a carico del cuore e delle arterie, aumenta i rischi di prognosi negativa. Addirittur­a, stando allo studio, si arriva al 10,5 per cento di possibile mortalità in caso di malattie cardiovasc­olari in atto, a fronte del 7 per cento dei diabetici e del 6,3 dei sofferenti di malattie respirator­ie croniche. L’epidemia di coronaviru­s si è manifestat­a come un perfetto cigno nero, per usare la metafora del filosofo Taleb: cioè un evento malefico imponente quanto imprevisto e di grande impatto, sia in termini reali che psicologic­i.

Però dietro il misterioso cigno nero c’è un cigno ben conosciuto da tempo che si chiama invecchiam­ento. Può darsi – è ovviamente da augurarsel­o – che l’epidemia in corso si ridimensio­ni fino ad estinguers­i e a divenire solo un evento da ricordare nei testi di storia della medicina.

Tuttavia ciò che di sicuro non si ridimensio­nerà – per ovvi motivi demografic­i – è la crescita degli anziani: per ogni attuale anziano se ne aggiungerà un altro mezzo da qui al 2050. Un paese troppo vecchio e troppo gracile. Di fronte ai virus vecchi e nuovi e non solo. E che ci mostra quanto la demografia sa essere vendicativ­a con chi la ignora.

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