Corriere di Verona

«La Sars non fermò l’Africa»

Il responsabi­le scientific­o del Cuamm ha affrontato in Africa le peggiori epidemie: «Bisogna continuare a spiegare l’ignoto per conquistar­e la gente»

- Di Monica Zicchiero

Putoto: «Fiducia nelle autorità e prudenza ma con un occhio al futuro»

«Una volta ridotti i rischi per le comunità, bisognerà riprendere le attività ordinarie. Questa epidemia non deve uccidere il nostro futuro». Giovanni Putoto di epidemie se ne intende. È responsabi­le ricerca e programmaz­ione di Medici con l’Africa Cuamm ed è stato operativo in Sierra Leone prima, durante e dopo il contagio da virus Ebola che dal 2014 paralizzò il paese e portò alla morte 10.770 persone. «Oggi sulle dinamiche sociali, la corsa a fare incetta nei supermerca­ti, vedo un film già visto – osserva - Una comunità disorienta­ta e impaurita che vive una realtà della quale non ha elementi di comprensio­ne».

Dottor Putoto, che idea si è fatto?

«Che non abbiamo dati certi. Sono tre quelli fondamenta­li che servono a definire la natura di un virus. Il primo è l’indice di riproduzio­ne che definisce la contagiosi­tà: chi dice cinque (ogni persona contagiata ne contagia a sua volta cinque ndr), chi dice 2,5, chi uno. Per dare una misura: l’indice per il morbillo è di 18, per Ebola tra uno e due. Poi c’è il tempo di incubazion­e: da 2 a 14 giorni, forse di più. Come dire: non è una misura certa. L’altra misura essenziale è il tempo di risoluzion­e, cioè di guarigione o di morte. E poi c’è la mortalità. Quella dell’Ebola varia dal 30% al 60% della popolazion­e colpita e in Sierra Leone fu del 50%. Per il coronaviru­s pare sia tra lo 0,9 e il 3%, molto più bassa. Questi dati che ancora mancano sono essenziali affinché i matematici epidemiolo­gici possano fare un modello di diffusione base per orientare le strategie di contenimen­to della salute pubblica».

In assenza di certezze, governo e Regioni hanno scelto la prudenza: tutto chiuso. Strategia corretta?

«Come altre epidemie, va seguita con attenzione ma senza panico. Rispetto i provvedime­nti e sposo in pieno la posizione del New England Journal of Medicine, che ha scritto: rispettiam­o le scelte delle autorità sanitarie perché devono prendere decisioni difficili senza avere tutte le informazio­ni sul tavolo».

Quindi bisogna aver pazienza?

«Bisogna aver fiducia. Le esperienze recenti dicono che questo virus, come gli altri, più passa il tempo, più diminuisce la sua viralità. E poi abbiamo già delle prime evidenze delle persone che guariscono. Restano a rischio gli anziani malati, la stessa categoria a rischio per l’influenza stagionale. Più avanti sapremo meglio le caratteris­tiche di questo virus che oggi non conosciamo abbastanza. Quindi calma e rispetto. Le polemiche non aiutano».

Pipistrell­i, serpenti, polli, mucche pazze, maiali, scimmie: dall’Hiv all’aviaria fino al covid 19, si sta propagando la paura che siano gli animali a portare le epidemie?

«Facciamo parte di un contesto naturale nel quale la zoonosi, la malattia degli animali che viene trasmessa all’uomo, fa parte dell’ambiente. Basta pensare

alla peste, che portavano i topi. Non vuol dire che gli animali ci portino malattie. Vuol dire che dovremmo diventare più consapevol­i di questa interrelaz­ione nello svolgere le nostre attività».

Supermerca­ti presi d’assalto, cinesi all’indice, risentimen­to quando altre nazioni ci tengono alla larga. Reazioni normali?

«Sì. Vedo un film già visto. Fatta la tara di una grande diversità di contesto (Africa e Italia) e contenuto (lì Ebola, qui coronaviru­s), osservo una reazione simile a quella che ho visto in Sierra Leone. Una comunità disorienta­ta e impaurita che vive una realtà che non comprende e quindi non riesce a inserirla in un contesto razionale. Quando ti dicono: scuole chiuse, non andate a messa, al cinema, al teatro, state a casa, la reazione è questa. Dovrebbe farci riflettere su necessità da parte dei policy maker, del mondo scientific­o e della stampa di abbassare i toni e fare sforzo per veicolare giuste informazio­ni, con tutti i mezzi».

Non si stanno veicolando le giuste informazio­ni?

«Bisogna usare tutti i messi. Facciamo un esempio. Mia sorella ha una ditta con cento dipendenti. Tutti preoccupat­issimi. Le ho consigliat­o di convocare un medico che ascoltasse i loro timori, i loro dubbi, le loro domande. La paura non è mai banale. Abbiamo fatto la stessa cosa in Sierra Leone, villaggio per villaggio, comunità per comunità. Funzionò. Si instaurò un clima di fiducia nei confronti del personale medico che prendeva le decisioni e le donne vennero a partorire negli ospedali in piena epidemia in misura doppia rispetto all’anno precedente, l’efficacia di questo approccio è documentat­o anche da ricerche scientific­he. Qui abbiamo una sanità d’eccellenza che si sta facendo in quattro. Una comunità coesa, fiduciosa, può orientare in senso positivo cose fastidiose come la quarantena e il test di massa».

La ricaduta sociale ed economica però soffia sulla sfiducia.

«È l’effetto secondario di ogni epidemia, studiato da Banca Mondiale e Onu anche per Sars, Ebola, Mars. Anche quello, una malattia da contenere. Rispettiam­o il principio di precauzion­e adottato ma non compromett­a l’attività e la vita delle persone e delle società. Bisogna riprendere le attività ordinarie, se non ci sono ragioni per considerar­e le comunità ancora a rischio. Il coronaviru­s non deve uccidere il nostro futuro».

Le esperienze recenti dicono che questo virus, come gli altri, più passa il tempo, più diminuisce la sua viralità

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In alto Giovanni Putoto, responsabi­le ricerca e programmaz­ion e del Cuamm in Africa. Qui sopra, medici sul campo in una zona colpita dall’Ebola
Sul campo In alto Giovanni Putoto, responsabi­le ricerca e programmaz­ion e del Cuamm in Africa. Qui sopra, medici sul campo in una zona colpita dall’Ebola

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