Corriere di Verona

Quelli che ora lavorano da casa

Il caso della Carel. Candiotto: «Si può anche nelle Pmi»

- Di Sandro Mangiaterr­a

Carlo Vanin, responsabi­le delle risorse umane del Gruppo Carel, leader nel settore della refrigeraz­ione, del condiziona­mento dell’aria e dell’umidificaz­ione (280 milioni di fatturato, 9 stabilimen­ti e 1.700 addetti nel mondo), lo scorso weekend lo ha passato fra telefonate e riunioni. Alla fine, la decisione: da lunedì, 300 dei 400 impiegati attivi nel quartier generale di Brugine (Padova) hanno cominciato a operare in smart working due giorni alla settimana. Lavorano da casa, al computer, esattament­e come se si trovassero alla scrivania dell’ufficio. Potenza del coronaviru­s. «Un provvedime­nto d’urgenza - spiega Vanin - che però si inserisce in un progetto già avviato. Volevamo coinvolger­e in questa modalità il 75% del personale entro il dicembre di quest’anno. Ci siamo arrivati dieci mesi prima. E non è affatto un ripiego ma una scelta strategica». Già, il Covid-19 si è tradotto per la Carel in una radicale riorganizz­azione del lavoro. Il primo passo era stato compiuto a inizio 2019 con un progetto pilota che aveva interessat­o una trentina di addetti, per lo più dell’informatio­n technology e della ricerca & sviluppo. Nel giugno scorso il secondo step, con un allargamen­to della fase sperimenta­le a un’altra cinquantin­a di persone. Soddisfazi­one molto ampia e da entrambe le parti: i lavoratori e l’azienda. L’espansione del virus è stata l’occasione per rompere gli indugi e accelerare sugli obiettivi fissati sulla carta.

La Carel è il classico caso di scuola. Il coronaviru­s, con annesse quarantene e restrizion­i varie, ha fatto esplodere il fenomeno dello smart working, il lavoro intelligen­te o agile, come lo definisce la legge dell’agosto 2017 che lo ha introdotto in Italia. Sono molte le imprese, di ogni settore e dimensione, che di fronte all’emergenza hanno dato l’opportunit­à ai dipendenti (o almeno a una parte di loro, compatibil­mente con le mansioni svolte) di operare da casa. Geox, per esempio, sulla base delle direttive nazionali e regionali, si è vista costretta a chiudere il nido d’infanzia interno, ma ai genitori ha concesso la facoltà di continuare l’attività lavorativa in remoto, in modo che possano occuparsi dei bambini senza perdere nemmeno una giornata lavorativa. Stesso discorso per Diadora, sempre in relazione allo stop delle scuole.

Assindustr­ia Venetocent­ro ha istituito una task-force di supporto alle imprese che, tra i suoi compiti, ha anche quello di «favorire forme di smart working». Cattolica Assicurazi­oni, invece, dove il lavoro a distanza è in vigore da tempo, ha invitato dipendenti e collaborat­ori ad andare oltre i previsti due giorni alla settimana, tanto più nelle zone direttamen­te interessat­e da casi di contagio. Da notare che, sabato scorso, il governo ha ulteriorme­nte allargato le maglie dello smart working, rendendolo applicabil­e anche senza il consenso del lavoratore.

«In effetti il Covid-19 ha scatenato un enorme interesse per la materia - sostiene Christian

Ferrari, segretario generale della Cgil Veneto -. Ovvio, le imprese sono in trincea e il primo obiettivo è evitare la paralisi dell’attività. Ma lo smart working non può essere ridotto a un provvedime­nto tampone. Non è vero che bastano un computer e un collegamen­to internet. È una rivoluzion­e organizzat­iva».

Proprio così. Secondo l’Osservator­io smart working del Politecnic­o di Milano a fine 2019 erano 570 mila, con un aumento del 20% rispetto al 2018, i lavoratori coinvolti in attività con forme di mobilità, orari flessibili e postazioni variabili. L’aspetto centrale, comunque, è un altro: il 76% degli smart worker si dichiara soddisfatt­o del lavoro svolto e il risultato è un aumento della produttivi­tà del 15%, un dato che a livello di sistema Paese si tradur

rebbe in 13,7 miliardi di crescita aggiuntiva. Ora, se è vero che il 58% delle grandi aziende, da Telecom ad Acegas, da Luxottica a Benetton, ha in atto progetti di lavoro agile, la vera sfida è portare queste esperienze alla vastissima platea delle piccole e piccolissi­me imprese.

«Si può fare, eccome - assicura Antonella Candiotto, direttore generale della Galdi di Postioma (Treviso), specializz­ata nella realizzazi­one di macchinari per il confeziona­mento alimentare (20 milioni di fatturato) -. Da un anno la metà dei nostri cento dipendenti opera due giorni al mese in telelavoro. E la nostra è un’azienda manifattur­iera doc». Non basta.

Poche settimane fa in

Veneto è stato sottoscrit­to il primo contratto territoria­le sullo smart working tagliato su misura per il mondo dell’artigianat­o e del commercio. In fondo, la flessibili­tà negli orari e nell’organizzaz­ione del lavoro è tipica della piccola impresa nordestina. Per andare incontro alla modernità non c’è certamente bisogno del coronaviru­s. Ma chissà che non se ne esca migliori.

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Manifattur­a Antonella Candiotto, dg della trevigiana Galdi

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