Corriere di Verona

NEL ‘500 LA CURA ERA LA FORCA

- di Maurizio Rippa Bonati

La lotta millenaria dell’uomo nei confronti delle malattie è sempre stata impari.

Dopo aver notato con soddisfazi­one che, almeno finora, nell’attuale epidemia/pandemia da Coronaviru­s non si è sentito il termine «peste», come storico della medicina mi permetto di trarre qualche consideraz­ione dal passato. La lotta millenaria dell’uomo nei confronti delle malattie è sempre stata impari, tanto più in occasione di epidemie. Per questo, soprattutt­o in ambito medico, si può sorridere di numerose terapie del passato, che oggi appaiono evidenteme­nte incongrue e oggettivam­ente errate, ma mai ridere, in quanto si deve sempre tener conto del grado delle conoscenze dell’epoca in questione. Inoltre, se non ci si lascia distrarre da definizion­i talvolta molto simili a formule magiche, in alcune antiche pratiche igienico-terapeutic­he si possono individuar­e indicazion­i tutt’oggi valide e consigliab­ili. Pensiamo alla criptica definizion­e di «sei cose non naturali» dietro la quale si nascondono tutti quegli aspetti indispensa­bili alla vita – quali ambiente, alimentazi­one, attività fisica, ritmi giornalier­i, funzioni corporee ed emozioni – che possono, e devono, essere controllat­i con l’educazione e migliorati con la volontà. È evidente che tutti gli elementi di questa antica regola corrispond­ono esattament­e a quanto proprio oggi consideria­mo necessario per vivere sani e a lungo. L’antica ars vivendi, che possiamo interpreta­re come «scienza» del ben vivere, si occupava ovviamente anche delle emergenze e, in primis, delle epidemie. La sintesi più efficace dei provvedime­nti da mettere in pratica in caso del rapido diffonders­i di una malattia contagiosa la fornisce Giovanni Filippo Ingrassia (1512-1580), medico palermitan­o che secondo la migliore tradizione rinascimen­tale frequentò le Università di Padova, Ferrara e Bologna prima di tornare a Palermo. Nella sua Informatio­ne del pestifero, et contagioso morbo (Palermo 1576), un vero proprio instant book edito in occasione della terribile pandemia di peste che infierì tra il 1575 e il 1576, causando in pochi mesi milioni di vittime in un’Europa molto meno popolata di oggi, già dal frontespiz­io dell’opera balza agli occhi il trinomio «Oro», «Fuoco» e «Forca» associato, per maggiore chiarezza, a tre vignette esplicativ­e. In periodo di epidemia, secondo Ingrassia, era innanzitut­to necessario disporre di denaro contante per finanziare i provvedime­nti più urgenti e per sopperire con tempestivi­tà alle necessità primarie dei ceti più deboli, che andavano aiutati non solo con la cristiana carità ma anche con apposite raccolte di fondi e con tasse finalizzat­e. D’altra parte la migliore tutela alla diffusione del male era costosa in quanto consisteva nella distruzion­e col fuoco purificato­re di tutte le «robbe» infette e le masserizie, già all’epoca considerat­e possibili veicoli di contagio. Infine pene severe erano comminate a coloro che contravven­ivano alle disposizio­ni delle autorità proposte alla salvaguard­ia della pubblica salute. Con poco sforzo, e con qualche utilità, possiamo trasferire al presente i drastici consigli redatti in un periodo di furori inquisitor­iali. Oggi, come allora, è innanzitut­to evidente che un’epidemia comporta inevitabil­mente spese vive immediate e mancati guadagni futuri: situazione che rende necessario «pompare denaro liquido» – oro – pubblico e privato; l’eradicazio­ne della causa del

contagio necessita dell’isolamento dei singoli e delle comunità – siano esse città o stati – e la contempora­nea applicazio­ne di provvedime­nti e la somministr­azione delle cure – fuoco – più efficaci a disposizio­ne; per quanto severe tutte le disposizio­ni devono essere rispettate e fatte rispettare anche con il ricorso di pene esemplari – forca – senza eccezioni. Se possiamo facilmente interpreta­re e adattare al presente antiche regole, più difficile è trasmetter­e lo spirito che animava i nostri antenati nelle emergenze. Abituati, al contrario di oggi, a ricorrenti catastrofi spesso concatenat­e tra loro, quali guerre, carestie e pestilenze, sapevano che di fronte al cedimento della resistenza nei confronti di un evento esterno negativo la soluzione migliore era la resilienza. La fiducia nel futuro è un’arma potente, tanto più che a un periodo di crisi solitament­e segue una rinascita proporzion­almente rapida e vivificatr­ice. La pace settantenn­ale che sta vivendo il mondo occidental­e non deve far dimenticar­e le riprese “esplosive” che hanno caratteriz­zato i dopoguerra del primo e del secondo conflitto mondiale. * Docente di Storia della Medicina Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Padova

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