Ex popolari, per i ristori del Fir nuova trappola sui redditi
Le regole riviste in Finanziaria toccano il tetto dei 35 mila euro: «Stop alle domande»
Ex popolari, sui rimborsi del Fondo indennizzo risparmiatori scatta ora la nuova trappola dei redditi dichiarati. Sembra uno di quegli incubi ricorrenti, in cui il traguardo che si avvicina non viene mai raggiunto, la vicenda dei ristori del 30%, con un tetto di centomila euro, ai soci delle banche liquidate. Così, a quaranta giorni dalla scadenza del termine ultimo di presentazione delle domande al Fir, il 18 aprile, mentre le richieste giunte a Consap sono salite a 70 mila, a sentire Patrizio Miatello di Ezzelino, «40 mila quelle già processate e 30 mila ancora da passare al vaglio», dopo il flop dell’emendamento al decreto Milleproroghe per anticipare i rimborsi, dato per approvato dal governo e clamorosamente naufragato, tra le pieghe della legge finanziaria 2020 spunta un’altra mina nascosta sul percorso dei rimborsi. La questione è stata al centro di una riunione ieri mattina a Padova di associazioni e comitati tra Ezzelino, Adusbef, Federcontribuenti e Movimento risparmiatori traditi, per stabilire le contromosse.
Ad accorgersi della trappola il tributarista Loris Mazzon. In sostanza la legge di bilancio 2020 ha riscritto il comma dell’equivalente legge del 2014, che fissa il reddito da dichiarare per le richiesta di deduzioni e detrazioni, ma anche di «benefici di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria». La norma prevede ora che «quando le vigenti disposizioni fanno riferimento al possesso di requisiti reddituali, si tiene comunque conto del reddito assoggettato al regime forfetario».
In sostanza, per chiunque avanzi dal 1. gennaio richieste di deduzioni e detrazioni, deve far rientrare nel reddito dichiarato anche quanto guadagnato con il regime fiscale forfettario fino a 65 mila euro (cedolare secca compresa). E la questione tocca anche i rimborsi del Fir. «Capisco lo spirito della legge in chiave di equità - sostiene l’avvocato Rodolfo Bettiol -. Ma per le domande al
Fir ora si pone un altro problema». Perché rischia di cambiare radicalmente l’accesso al rimborso semplificato sotto il limite di reddito di 35 mila euro riferito al 2018. Con il rischio che molti debbano ricorrere al secondo canale d’accesso, quello che prevede la dimostrazione delle violazioni massive.
E chi ha già presentato la domanda? «Non c’è il rischio di incorrere in dichiarazioni false. Ma il punto resta, perché il nodo centrale resta il titolo per cui si ottiene l’erogazione dei benefici», sostiene Bettiol. Che ritiene possibile sfruttare le integrazioni alle domande per transitare dal primo al secondo pilastro, con i documenti che attestano le violazioni massive già predisposti. Ma intanto le associazioni presenti ieri fermano di nuovo le domande. In attesa di un interpello che Mazzon rivolgerà al ministero dell’Economia, per chiedere la linea di comportamento. Ma a quaranta giorni dallo scadere dei termini, il tempo stringe. «Serve, e la spingeremo, una risposta rapida: non vogliamo altre proroghe dei termini», sostiene Milena Zaggia, anima dei risparmiatori traditi di Cariferrara. «In tutto questo pasticcio - aggiunge Fulvio Cavallari di Adusbef - torna quanto sia insensato il divieto posto agli avvocati di assistere i risparmiatori nella presentazione della domanda di rimborso».
Non è l’unica questione affrontata ieri. Naufragato l’emendamento al decreto Milleproroghe per il pagamento dell’anticipo del 40% sui rimborsi, le associazioni ritorneranno alla carica sul nodo sostanziale di quella vicenda. Che riguarda i tempi di pagamento dei rimborsi, una volta presentate le domande. Rischiano di allungarsi e di molto. «Consap non potrà liquidare i ristori - spiega Bettiol -, finché l’Agenzia delle entrate non avrà completato i controlli sulle dichiarazioni di reddito o patrimoniali. Verifiche che non potranno iniziare prima di giugno». L’unica soluzione è tornare alla carica con la politica, per ottenere, per via legislativa, un esonero dalle responsabilità di Consap, permettendo alla società del Tesoro di pagare a fronte non della regolarità di merito, ma solo formale dei documenti. Lasciando la palla all’Agenzia delle entrate di fronte alle irregolarità.