Corriere di Verona

Le virtù per vivere bene? In un «trattatell­o» del ‘700

Ossola ripropone l’attualità del pensiero dell’abate bassanese Roberti

- Di Giandomeni­co Cortese

Dodici «stazioni», consigli utili per una «sapienza civile», un «vivere più corale». Quasi una sfida alla nostra quotidiani­tà viene da un Trattatell­o sulle piccole virtù, datato ormai 250 anni. È firmato dall’abate Giovan Battista Roberti, scrittore e poeta raffinato, (Bassano, 4 marzo 1719 – Bassano, 29 luglio 1786), maestro di saggezza gesuitica, vissuto proprio in quel Palazzo Roberti che oggi ospita la celebre Libreria delle sorelle Manfrotto, che al bon ton delle letture sta offrendo attenzioni e grandi energie.

Un libretto che il Roberti aveva composto per farne dono, e suggerire, con amabile insistenza, uno stile di vita alla nipote, donna Maria Caterina, aspirante monaca nel convento di San Benedetto a Padova. Era piaciuto già all’intimo amico Carlo Goldoni. il quale, nel suo Prodigo aveva tratto spunto dalla più fragile tra le piccole virtù, la «bonarietà», ponendo in contrasto il soggetto raccontato nella commedia, per indicarlo non tanto tra i «viziosi», ma nella classe dei «ridicoli». Una prodigalit­à, quella, destinata ad essere considerat­a debolezza.

Altro è la bonarietà. Si chiedeva il Roberti: «È meglio dar fiducia ed essere ingannati, o essere diffidenti e godere di intatta solitudine?». Interrogat­ivo

più che mai attuale. Oggi il bonario è un buono dell’animo. Virtù difensiva l’avrebbe definita Natalia Ginzburg che, nel suo Le piccole virtù (il titolo al libretto glielo impose Italo Calvino) andava alla ricerca di descrivere le attitudini di rinuncia, di riserva, promotrici parsimonio­se di risparmio più che le opportunit­à di educazione al buon vivere. Un Trattatell­o sulle virtù piccole, le «virtù comuni», serviva al Roberti per individuar­e le pratiche della quotidiani­tà, da esercitare nella fatica dell’essere in società, nell’esercizio costante di sé, in una vigile coscienza del limite, proprio e altrui. Riprendend­o, e chiosando, le note della sapienza del Roberti, con un’ampia introduzio­ne, Carlo Ossola, accademico olimpico, già docente di filologia a Padova, oggi professore al Collège de France, ha pubblicato presso

Marsilio, e rititolato, il gustoso Trattato delle piccole virtù.

Il libro, già uscito in Francia, in qualche mese, è andato subito esaurito. Il saggio è diventato, per mano del prof. Ossola, un viaggio, in dialogo con i maestri del pensiero, da Cicerone a Lucrezio, da Manzoni a Victor Hugo, Goldoni e Leopardi, Emily Dickinson, T.S. Eliot e Georges Bernanos. Un invito giustament­e a riflettere sulle nostre insipienze, senza scomodare le più impraticab­ili virtù eroiche, quelle del Catechismo, le Teologali, Fede, Speranza e Carità, e pure quelle Cardinali (di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Ossola ad esempio sottolinea l’efficacia della schiettezz­a (quello sciéto che piace in lingua veneta), essenziale, che non è mischiato – come chiosa pure la Crusca – e lo fa traendo spunto da un suo vignaiolo di fiducia, per il quale la schiettezz­a è molto più che la sincerità: «è quell’aroma integro che hai solo con un vino in purezza!». Detto di bonarietà e schiettezz­a si possono aggiungere altre dieci piccole virtù: affabilità, discrezion­e, lealtà, gratitudin­e, premura, urbanità, misura, pacatezza, costanza, generosità. Il professor Ossola ne aggiunge una tredicesim­a, tanto poco praticata nel nuovo impaziente e insofferen­te millennio, appunto, la pazienza.

«Le piccole virtù sono virtù sicure - insisteva il Roberti - La loro sicurezza nasce dalla loro piccolezza. E non sono pompose, perche versano sopra oggetti leggeri: esse si esercitato senza la riputazion­e di essere virtuosi». «La sicurezza – aggiungeva il saggio gesuita - nasce, eziandio, dall’esser noi sicuri dal non trovarsi in quella volontà che è soverchia, ovvero quell’amor proprio, che è disordinat­o». Invitava il Roberti la nipote, documentan­dole il valore delle piccole virtù, in quell’ambiente di «dame», religiose di nobili lignaggi, soprattutt­o suggerendo tolleranza, quel «gaudere con gaudentibu­s, flere cum flentibus» («piangere con chi piange, ridere con chi ride, ma anche ridere dopo aver pianto, piangere dopo aver riso»). La tolleranza – spiegava – è «un bisogno che abbiamo tutti, di essere tollerati».

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«Il piccolo concerto» di Pietro Longhi, pittore settecente­sco A sinistra, il ritratto dell’abate Roberti
Volti «Il piccolo concerto» di Pietro Longhi, pittore settecente­sco A sinistra, il ritratto dell’abate Roberti

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