Dieci anni per mafia: condanna azzerata
«In affari con il clan dei Pesce»: da rifare il processo a un imprenditore di Nogarole
Finì in arresto per poi essere condannato a 10 anni di reclusione in primo e secondo grado per concorso in associazione mafiosa. Sembrava segnato il destino per Giuseppe Franco, imprenditore e amministratore delegato di tre società: gli inquirenti lo indicarono come «in odore di ‘ndrangheta» e «referente a Verona del clan Pesce», invece a sorpresa la Cassazione ha adesso accolto il suo ricorso, annullandogli la condanna e ordinando un nuovo processo.
Finì in arresto per poi VERONA essere condannato a 10 anni di reclusione in primo e secondo grado per concorso in associazione mafiosa. Sembrava segnato il destino per Giuseppe Franco, imprenditore e amministratore delegato di tre società: gli inquirenti lo indicarono come «in odore di ‘ndrangheta» e «referente a Verona del clan Pesce», invece a sorpresa la Cassazione ha adesso accolto il suo ricorso, annullandogli la condanna e ordinando un nuovo processo. Nella piana di Gioia Tauro i Pesce sono «la Famiglia»: la loro base è a Losarno e, come i Riina e i Provenzano in Sicilia o i Licciardi a Napoli, gestiscono ogni settore: dai mercati agricoli alla logistica del porto, passando per traffici di droga, estorsioni, appalti. Attività che i Pesce si sono spinti a controllare ben oltre la Calabria, fino a Verona, dove - stando agli inquirenti - potevano contare sulla «collaborazione» proprio di Franco, 60 anni,originario di Rizziconi ma con residenza a Nogarole.
Di qui il suo arresto nel 2014 e la condanna a 10 anni, ora però azzerata dalla Cassazione secondo cui «il primo elemento che sia il gup che la Corte distrettuale hanno valorizzato è costituito dalla movimentazione di carichi di droga mediante gli automezzi della Tranz Veicom e della Verotransport. In realtà -secondo la Cassazione - non sono stati rinvenuti elementi individualizzanti per elevare a carico di Franco contestazioni di sorta».Per questo la Suprema Corte ritiene «non provato il coinvolgimento di Franco nel traffico di stupefacenti, onde legittimare l’annullamento della statuizione di condanna, sì da consentire al giudice del rinvio di far luogo alla doverosa prova di resistenza, una volta depurato e correttamente circoscritto il quadro probatorio. Prova di resistenza che per la Cassazione - dovrà verificare la reale riferibilità della condotta di elusione fiscale agli interessi della cosca, tenendo conto che la difesa ha recisamente confutato tale asserzione, evidenziando come il prevenuto abbia già riportato una severa condanna per gli illeciti commessi sul piano fiscale, che esaurirebbero in ciò la finalità tramite essi perseguita». In definitiva, «s’impone l’annullamento della condanna, affinché il giudice del rinvio faccia luogo a nuovo appezzamento del materiale probatorio, colmando le lacune».