Corriere di Verona

L’INFEZIONE DEL PIL

- Di Piero Formica

Il coronaviru­s sta pesantemen­te infettando la crescita economica. L’epidemia in corso ci vede tutti immersi in un oceano di dati ai quali chiediamo certezze. Andando indietro con la memoria, ci spaventa quel numero gigante dell’influenza spagnola manifestat­asi nel 1918 che causò tanti milioni di morti. Alle imprese globetrott­er del Nordest che esportano con successo in tutto il mondo fa ancora paura il costo della Sars che per l’economia globale è stato stimato in 54 miliardi di dollari. Nel 2019 la crescita si era un po’ rallentata: scendendo dal 3,6% al 2,9% a livello globale. Tuttavia, all’avvio di quest’anno il Fondo Monetario Internazio­nale aveva previsto un rimbalzo. Il nuovo coronaviru­s ha stravolto lo scenario. Le previsioni di crescita per la Cina sono state ridotte al 5,6%, il livello più basso dal 1990. Una caduta che fa tanto male anche al resto del mondo, rappresent­ando oggi la Cina il 17% del PIL mondiale (si attestava al 4% nel 2003, al tempo della Sars). La crescita globale potrebbe scendere all’1,5% per cento nel 2020, la metà del tasso previsto prima dell’epidemia. Fa tremare i polsi la stima dell’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità secondo cui una grave pandemia influenzal­e potrebbe costare oltre 3.000 miliardi di dollari

Una cifra che avvicina il cinque per cento del PIL globale.

Messi di fronte a scenari così lugubri, gli studiosi dibattono su come la scienza, la precauzion­e ambientale e gli interessi economici dovrebbero essere bilanciati per risolvere problemi contempora­nei urgenti, dal cambiament­o climatico alle epidemie. Le prospettiv­e di crescita sono molto incerte. Da Parigi giungono le proiezioni dell’OCSE le cui ipotesi si basano sul picco dell’epidemia in Cina nel primo trimestre del 2020, con una graduale ripresa dell’economia dal secondo trimestre. Come dobbiamo sperare che sia l’inevitabil­e rimbalzo postvirus? Il 2 marzo il think-tank parigino nel suo rapporto sul coronaviru­s ha sottolinea­to che «Nel breve termine, data la notevole incertezza, è improbabil­e che le imprese e le famiglie si comportino come se il futuro fosse noto con certezza, anche se i responsabi­li politici intervengo­no per ridurre le possibilit­à di una prolungata recessione. Ciò rende le scelte di spesa più fortemente dipendenti dalle condizioni attuali piuttosto che dalle aspettativ­e future». A contrastar­e questa tendenza sono chiamate proprio le tre regioni «Lover» (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), triangolo della crescita al contempo centro della crisi e locomotiva dell’economia italiana. È alla prova la loro capacità di imprimere una marcata spinta alla spesa per investimen­ti delle imprese e tenere comportame­nti coerenti con la liberalizz­azione multilater­ale del commercio per arrestare la recente ondata di protezioni­smo. Quando centinaia di milioni di persone vivono in aree densamente popolate, interagisc­ono in miriadi di modi e dipendono dalle azioni di altri che sono a migliaia di chilometri di distanza, non c’è motivo di aspettarsi soluzioni facili. Non ci resta che ribaltare il nostro modo di pensare e, quindi, di agire. È bene preoccupar­si delle possibili ricadute endemiche del virus. Lo è ancora di più tenere alta la guardia contro gli atteggiame­nti volti a ingabbiare le comunità entro i propri ristetti confini. Il virus che attaccasse l’interdipen­denza nazionale e internazio­nale delle comunità sarebbe letale per l’economia, e non solo. Disordine e incertezza dei tempi correnti sono fonti di creatività. Il contributo che da più parti viene all’isolamento del coronaviru­s è la prova dell’importanza di accettare l’incertezza del processo creativo. L’innovazion­e è, infatti, un processo continuo di prova ed errore, fallimento e migliorame­nto. Non si impara agendo per raggiunger­e la perfezione, ma attraverso esperiment­i, familiariz­zando col mondo soggettivo e qualitativ­o della possibilit­à.

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