Ospedali, il caso quarantene
Diverse aziende sanitarie, in accordo con la Regione, hanno predisposto i moduli. «Saranno sottoposti quotidianamente al tampone» Centinaia di operatori sanitari in isolamento, Zaia al ministero della Salute: chi è disponibile torni al lavoro
Emergenza coronavirus, centinaia di operatori sanitari sono in quarantena. Il presidente della Regione Luca Zaia è in contatto con il ministero della Salute: «Regole da cambiare, chi è disponibile torni al lavoro».
Nei reparti dell’Azienda ospedaliera di Padova gira un modulo: «Lei nell’ambito della sua attività lavorativa ha avuto un contatto stretto con un caso confermato di virus Covid-19. Attualmente non presenta febbre e non manifesta alcun altro sintomo. La normativa prevede che lei venga messo in isolamento domiciliare fiduciario per 14 giorni. Le viene proposta la possibilità di continuare l’attività lavorativa indossando obbligatoriamente la mascherina chirurgica e sottoponendosi giornalmente al tampone. Contemporaneamente non dovrà frequentare luoghi affollati e, al di fuori dell’attività lavorativa, dovrà rimanere in isolamento domiciliare. Se il test resterà sempre negativo, lo screening sarà interrotto al 14esimo giorno dall’ultimo contatto con il caso confermato e potrà riprendere la normale vita di relazione. In caso di comparsa di sintomi, dovrà contattare subito l’Unità di Malattie infettive».
È un modulo di consenso dell’operatore sanitario venuto appunto a contatto con un paziente contagiato dal coronavirus ma al momento negativo e denuncia una nuova grana da risolvere per un Servizio sanitario già sotto stress.
Sta esplodendo in tutto il Veneto il problema degli operatori sanitari messi in quarantena a casa: 300 solo nel Veneziano, 29 a Treviso, 60 a Santorso, 15 nel Veronese, 29 a Feltre, 9 ad Agordo, una trentina in Azienda ospedaliera a Padova. Ma i numeri sono in continua crescita e aggravano la carenza di 1.300 specialisti di cui già soffre la sanità regionale. E allora alcune aziende sanitarie, con il benestare della Regione, chiedono ai dipendenti che pur avendo assistito pazienti colpiti dall’infezione sono risultati negativi al tampone di andare a lavorare, monitorandoli ogni giorno. «È una follia lasciarli a casa — denuncia il professor Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia di Padova, che esamina i campioni di tutta la regione — così corriamo il rischio di chiudere interi reparti. Mercoledì, per esempio, abbiamo rilevato 500 tamponi in Pediatria a Padova (sono risultati positivi cinque medici, sospesa l’attività programmata chirurgica e ambulatoriale, garantite le urgenze, ndr), se dovessimo metterli tutti in quarantena, che succederebbe?». «Siamo in contatto con il ministero della Salute — annuncia il governatore Luca Zaia — ho chiesto di cambiare questa norma e di consentire al personale risultato negativo, nonostante sia venuto in contatto con casi confermati di coronavirus, di restare al lavoro. Naturalmente su base volontaria. Non possiamo metterli in isolamento due settimane, con un’emergenza sanitaria simile. Saranno sottoposti a tampone ogni giorno».
È d’accordo il professor Stefano Merigliano, presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Padova: «Noi medici siamo abituati ad affrontare i rischi del mestiere, malattie infettive incluse, andare in isolamento fiduciario è quasi tradire la nostra mission. La sicurezza è il tampone e infatti una specializzanda risultata negativa dopo un contatto con un soggetto colpito dal Covid-19, l’altra notte era regolarmente di guardia. Lasciateci lavorare».
Ma i sindacati del comparto storcono il naso. «Pochi infermieri hanno firmato il modulo di consenso, noi stessi lo abbiamo sconsigliato — rivela Pietro Levorato della Uil —. È darsi la zappa sui piedi. Se le linee guida nazionali dicono di stare a casa, perché mai dev’essere il lavoratore a prendersi la responsabilità di trasgredirle? Lo faccia il direttore generale, con un ordine di servizio in cui lo impone ai dipendenti. Non ribalti l’onere della scelta sul personale».