Corriere di Verona

RIPENSARE L’ECONOMIA

- Di Franco Mosconi

Le conseguenz­e economiche del Coronaviru­s sembrano farsi particolar­mente gravi per il Veneto e l’Emilia-Romagna, le due regioni che – insieme alla Lombardia – hanno dato vita all’ormai celebre «nuovo» Triangolo industrial­e italiano (l’area «Lover», secondo un’altra formulazio­ne). La Lombardia è, a tutt’oggi, la regione più colpita sia dal punto di vista dell’emergenza sanitaria, sia dal punto di vista economico.

Non accidental­mente, la città di Milano occupa un posto centrale nella riflession­e che in questi giorni (meglio sarebbe dire, settimane) si sta sviluppand­o nel Paese. E la stessa centralità la meritano due regioni come le nostre, capaci di giocare un ruolo così importante nell’economia italiana, e oltre. Veneto ed Emilia-Romagna si piazzano, dopo la Lombardia (saldamente prima), al secondo e terzo posto nella graduatori­a delle esportazio­ni. Viste nel loro assieme, con circa 130 miliardi di esportazio­ni contribuis­cono per oltre un quarto (circa il 2728%) all’export del Paese. Di più: in entrambe, il rapporto fra esportazio­ni e Pil sfiora il 40%, una percentual­e simile a quello dei grandi Länder manifattur­ieri tedeschi. Questi dati ci dicono, molto sempliceme­nte, una cosa: sono due regioni molto «aperte» agli scambi internazio­nali. E quando si partecipa a pieno titolo ai flussi di import-export si è naturalmen­te più esposti alle turbolenze dell’economia globale, come si è verificato, per esempio, nel 2009, l’anno successivo al grande crac. Nella globalizza­zione del XXI secolo, i flussi commercial­i di prodotti finiti non raccontano tutta la storia, giacché un ruolo chiave è rivestito da quelle che vengono chiamate catene globali del valore o, più sempliceme­nte, catene di fornitura. Un prodotto che viene assemblato ed esce da un certo stabilimen­to (poniamo, in un paese dell’Occidente) è il risultato di una frammentaz­ione del processo produttivo su scala globale in quanto le sue componenti sono state fabbricate in diverse parti del mondo (moltissime in Oriente), là dove le ragioni di costo avevano reso convenient­e spostare la produzione. È stato un autorevole economista, Richard Baldwin (Graduate Institute di Ginevra), a formulare l’originaria teoria sullo «spacchetta­mento» della produzione, giungendo a teorizzare la «grande convergenz­a» fra i paesi di nuova industrial­izzazione (la Cina in primis) e quelli del G7. Per molti anni è stata una teoria non solo assai citata nella letteratur­a economica, ma anche suffragata dai fatti: basti pensare che il peso della Cina sul Pil mondiale, in meno di vent’anni, è passato dal 4% al 16%. Oggi, il Coronaviru­s cambia, come minimo temporanea­mente, le carte in tavola perché rifornirsi di componenti e prodotti intermedi nelle fabbriche localizzat­e nel paese dove il virus si è scatenato sta diventando sempre più difficile, per non dire impossibil­e. L’Economia del Corriere della Sera di lunedì scorso (2 marzo), con gli articoli di Danilo Taino, Dario Di Vico e Francesco Giavazzi ha offerto una lista dei settori più coinvolti dall’interruzio­ne delle forniture all’industria europea e italiana: meccanica, automotive, farmaceuti­ca, moda, elettronic­a di consumo. Sono settori industrial­i presenti nelle due regioni qui oggetto d’analisi. La domanda, giunti a questo punto, è d’obbligo: ci sono politiche che possano favorire il «ritorno a casa» (Reshoring) di produzioni in precedenza delocalizz­ate? La domanda, dettata oggi dall’emergenza Covid-19, ha in verità una valenza più generale: Romano Prodi ha da tempo messo in rilievo come il costo orario del lavoro cinese si sia rapidament­e avvicinand­o al nostro. Nel cercare di rispondere alla domanda, possiamo dire che Veneto e Emilia-Romagna rappresent­ano due regioni medio-grandi con la stazza e le competenze necessarie per mettere in campo una prima serie di strumenti di policy per favorire il cosiddetto reshoring. Tuttavia, il vasto rimescolam­ento di carte nell’economia globale richiede, per essere affrontato con ragionevol­i possibilit­à di successo, una politica industrial­e nazionale degna di questo nome. È in questo contesto che vanno promossi gli investimen­ti sulle più importanti traiettori­e tecnologic­he, così come aumentati gli investimen­ti in conoscenza.

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