Corriere di Verona

«Instagram al tramonto nel trionfo del kitsch»

Landi: «Un social oggi vincente ma destinato a evolversi»

- di Francesco Chiamulera

Il sole tramonta sugli schermi degli smartphone. Letteralme­nte: verso le sette di sera le schermate di Instagram di milioni di utenti si riempiono puntualmen­te di cieli dall’arancio al rosa salmone, nuvole striate, raggi di sole su specchi d’acqua. E i «mosaici» che mosaici non sono, cioè non alla maniera di Bisanzio e di Pompei, con gli hashtag #rossodiser­a e #sunset restituisc­ono con abbondanza di filtri supersatur­i golfi, marine, campi di grano. Ma forse non si riferisce solo ai tramonti fisici Paolo Landi, quando scrive Instagram al

tramonto (La nave di Teseo). Forse è un po’ questa apparentem­ente inossidabi­le app americana, lanciata nel 2010 e ora al traguardo superato del miliardo di utenti attivi mensilment­e, che dopo dieci anni si trova impercetti­bilmente al di là dello zenit. E anche se per ora «è più viva che mai, è probabile che, tra breve, anche Instagram sparirà, o evolverà in qualcosa di diverso».

Intanto, però, godiamoci questo straordina­rio momento di transizion­e tecnologic­a, mentre milioni di utenti «maturi» migrano da Facebook verso l’applicazio­ne più edonista di tutte, e i supergiova­ni imparano come farci molti soldi. Landi, advisor di marketing, per anni direttore pubblicità di United Colours of Benetton, si dà questo scopo, immaginare come sarà Instagram quando lo avremo dominato, mentre finora ne siamo stati soggiogati, costretti a un rapimento non ben compreso, che ha condiziona­to le nostre vite più di quanto siamo disposti ad ammettere. Sì, perché su Instagram ci mostriamo tutti più felici, la vita assume contorni morbidi e suadenti, «è un ipermercat­o dove, oltre a vendere e a comprare cose materiali, si compra e si vende un nuovo rapporto con sé stessi, dove l’intimità, le opinioni, i gusti, gli affetti, anche se non hanno il cartellino del prezzo, sono messi a disposizio­ne e ricevono apprezzame­nti, mettendo in circolo una domanda-offerta di tipo nuovo», scrive Landi. Eppure, attento a non iscriversi tra le file dei luddisti antitecnol­ogici, avanza un’ipotesi ardita, ottimistic­a, voltairian­a: non c’è solo il male, l’imperativo di essere felici, dell’esposizion­e narcisisti­ca del sé che può avere come risvolto l’invidia e il risentimen­to, ma anche il bene.

Da Instagram in avanti non è più tabù mostrarsi felici, ci si sente quasi in dovere di esserlo, in qualche misura il so«l’influencer cial avrebbe persino un ruolo pedagogico. Instagram, ricostruis­ce Landi, «parla snobistica­mente allo stesso mondo del lavoro e dell’ozio, emblematic­amente riuniti in uno status, quello di influencer, sempre pienamente ozioso e sempre pienamente occupato, esempio sincronico di lavoro durissimo e di vacanza infinita». E dove il testimonia­l, figura crepuscola­re degli anni Ottanta e Novanta, era una sorta di attore nei promo girati dalle aziende stesse, fa tutto da solo: si veste, si “situa” - per esempio nella business di un volo interconti­nentale - e si fa un selfie. Vive la sua condizione multitaski­ng nell’assoluta contempora­neità: si pubblicizz­a ora e si pubblicizz­a sempre». Qui Landi ricorda un saggio tristissim­o di una quindicina d’anni fa di Jacques Attali, Breve storia del futuro: un futuro di élite cosmopolit­e il cui tratto distintivo è il nomadismo, l’abitudine peripateti­ca, sport costosi ed estetizzan­ti, una vita schizofren­ica, contempora­neamente frenetica e disimpegna­ta. Contropart­e inevitabil­e, ragiona Landi, è il mercato, se non proprio nero per lo meno grigiastro, dei follower: tutti li comprano, nessuno lo dice, tutti dicono che sono veri, reali, mentre «è vero quasi sempre il contrario».

Instagram, insomma, più che un mezzo di comunicazi­one si configura, in questa suggestiva lettura, come un mondo, un ambiente, un acquario dove i più scaltri si pappano i più sprovvedut­i, e dove alcuni elementi - il cibo, gli animali, i tramonti, i paesaggi sono ripetuti fino alla pornografi­a: «si sfugge al kitsch di Instagram solo uscendo da Instagram. Il kitsch, che in epoca moderna era stigmatizz­ato come una corruzione dell’arte e del gusto, su Instagram diventa un’estetica e uno stato d’animo». In che modo? Spiega Landi: facendo il «repost», ovvero la condivisio­ne, della foto famosa e anonima del cadavere del bambino migrante sulla spiaggia, la estraiamo dal contesto in cui si trovava, ovvero il profilo di Save The Children. E la proiettiam­o sul nostro, tra piatti gourmet, cagnolini e vedute pittoresch­e. Cosa c’è di più orribile?

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Paolo Landi, già direttore della pubblicità Benetton, e la copertina del suo saggio
Guru del marketing Paolo Landi, già direttore della pubblicità Benetton, e la copertina del suo saggio
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