Corriere di Verona

CAPITALE UMANO IL NUOVO FRONTE

- di Franco Mosconi

Idue milioni di mascherine prodotte a Trebaseleg­he, nel Padovano, riconverte­ndo in parte l’attività, da Grafica Veneta; il potenziame­nto della produzione presso la Siare Engineerin­g di Crespellan­o, nel Bolognese, anche grazie all’arrivo di personale dall’Esercito, di respirator­i; la produzione di «caschi» per la ventilazio­ne da parte della Dimar, azienda del distretto biomedical­e di Mirandola, nel Modenese.

Sono soltanto tre degli esempi di ciò che sta accadendo nei poli produttivi di Veneto ed Emilia-Romagna, due regioni che - al tempo stesso - conservano una robusta base manifattur­iera, vantano un alto grado di apertura al commercio internazio­nale, sono state colpite duramente dalla diffusione del Coronaviru­s.

El’elenco dei gesti di straordina­ria capacità e generosità imprendito­riale si sta allungando ogni giorno di più. Nella produzione delle fondamenta­li mascherine, per esempio, si sta impegnando il distretto del tessile-abbigliame­nto di Carpi. Tuttavia come scriveva qualche giorno fa Sandro Mangiaterr­a riferendos­i alle aziende venete (ma la sua riflession­e è facilmente applicabil­e anche all’Emilia-Romagna) «tutte le aziende non vedono l’ora di tornare a far girare le macchine a pieno vapore. Adesso bisogna giocare la partita a Bruxelles. Si vince o si perde tutti insieme» (Corriere

del Veneto, 18 marzo). Le novità di questi giorni e di queste ore vanno certamente nella giusta direzione. Pensiamo, guardando a Francofort­e, al piano da 750 miliardi varato dalla Banca centrale europea, dopo l’ormai famosa (e improvvida) conferenza stampa dalla presidente Lagarde della scorsa settimana (quella dei 120 miliardi, per intenderci). Pensiamo, ancora, alle primissime decisioni prese a Bruxelles dalla Commission­e europea presieduta da Ursula von der Leyen. Dapprima, l’istituzion­e di un’iniziativa denominata «Corona Response Investment» al fine di offrire supporto al settore della sanità, al mercato del lavoro e a tutte le PMI toccate dalla crisi (si era parlato inizialmen­te di 25 miliardi di euro poi saliti a più di 30). Dopodiché, l’adozione temporanea di un nuovo quadro di regole sugli «aiuti di Stato» al fine di consentire agli Stati membri di concedere un supporto ulteriore all’economia; fra i cinque tipi di aiuto ora consentiti, si segnalano la possibilit­à di prestiti diretti a un’impresa in crisi di liquidità (e fino a un importo di 800.000 euro), così come la possibilit­à di applicare varie forme di garanzia statale sui prestiti concessi alle imprese dalle banche. Rispetto alla crisi più recente con la quale possiamo operare un confronto (tenendo nel debito conto che questa dovuta al Covid-19 è molto più grave perché assolutame­nte pervasiva ed estesa a tutto il sistema sanitario, economico e sociale), ebbene, rispetto al grande crac del 2008 questa volta l’attenzione all’economia «reale» è in cima alle preoccupaz­ioni di tutti. La spina dorsale dell’economia reale, dappertutt­o nell’Unione europea e nel nostro Paese (e qui da noi più che altrove), è rappresent­ata dalle imprese: micro, piccole, medie, grandi, multinazio­nali; familiari, private, pubbliche, cooperativ­e. E le imprese, di tutte le dimensioni e di tutte le tipologie proprietar­ie, sono fatte di persone: sono comunità di persone. Ecco perché accanto alla drammatica battaglia che medici e infermieri combattono senza sosta nei nostri Ospedali, c’è un’altra battaglia che si svolge nel campo dell’economia: è il capitale umano che va salvato.Come vincerla? Grazie al contributo di tanti, una ricetta possibile è in continuo divenire (si pensi, per ora, al decreto «Cura Italia» del Governo oltre alle iniziative europee più sopra ricordate), ma intanto sappiamo quale deve essere la dimensione del campo da gioco: quella europea. L’ha ben spiegato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, nella sua intervista di ieri al Corriere della Sera dal titolo: «Bce, intervento poderoso. Nuove misure per le imprese. E proteggere­mo i nostri asset»(20 marzo). Il tema-chiave sottolinea­to dal ministro Gualtieri è l’emissione - citiamo – «di titoli europei utilizzabi­li da ciascun paese alle medesime condizioni, che devono riguardare il contrasto al coronaviru­s e alle sue conseguenz­e economiche». Se proprio dobbiamo, lasciamo pur scegliere alle Cancelleri­e dei paesi nordici dell’Ue se chiamarli «Eurobond» o «Coronabond»: quello che, coi tempi che corrono, non può essere in discussion­e è la loro necessità. Ne va della vita delle persone e delle imprese, due buone e sacrosante battaglie.

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