Autostrade deserte, cali fino all’80% E i sindacati: «Fermare le attività»
Su Passante e Tangenziale di Mestre traffico più che dimezzato. In affanno anche il settore dei servizi La Cgia: «In aumento abusivi e lavoratori in nero»
Non esiste forse un indicatore VENEZIA più affidabile e in tempo reale dell’andamento dell’economia come la curva dei transiti sulle autostrade. E in questa quarta settimana di Covid-19 (dalla data del primo decesso in Veneto) sulle tratte gestite da Concessioni autostradali venete (Cav) - in sostanza il Passante e la tangenziale di Mestre - il calo medio è stato del 43,8%, cioè più marcato che nei sette giorni precedenti, con punte medie giornaliere che superano l’80% di veicoli in meno rispetto allo scorso anno.
Il dato, secondo una grossolana analisi, fa anche vedere come le flessioni più profonde siano state nei fine settimana e dunque riflettono il fermo obbligato di chi si sposta per piacere. Cioè il movimento turistico, praticamente congelato, e questo è sufficiente al presidente di Unioncamere Veneto, Mario Pozza, per pronosticare il rischio di non veder più riaprire una parte consistente delle attività del settore. Per una regione che lo scorso anno ha registrato 69 milioni di presenze, che conta più di 35mila imprese le quali impiegano quasi 200mila addetti e fatturano 7 miliardi di euro, dice, «sarebbe un durissimo colpo per il Pil veneto».
Ma a essere a corto di fiato è l’intera sfera dei servizi, ambito in cui, secondo la Cna regionale, il fermo riguarda l’80% dei soggetti (in termini assoluti 55 mila realtà), a fronte di un 25% calcolato sulla media di tutti gli operatori economici.
«Il commercio al dettaglio rileva il segretario dell’associazione artigiana, Matteo Ribon – resiste di più grazie al lavoro di negozi alimentari e beni di prima necessità che, al contrario, in questa emergenza hanno visto aumentare le vendite».
La denuncia che arriva invece dalla Cgia di Mestre, è sul proliferare di lavoratori abusivi e in nero. «Molti hanno approfittato della chiusura totale imposta a estetiste, acconciatori e alla difficoltà di trovare artigiani i quali sono disponibili solo per le urgenze, non per gli interventi ordinari. Così operatori dell’edilizia, dipintori, elettricisti, fabbri, idraulici e manutentori di caldaie in questi giorni stanno subendo una concorrenza sleale aggressiva».
Una conferma di come sia il segmento dell’artigianato a soffrire di più giunge anche da parte sindacale, e a dare un’idea dell’impatto dell’effetto Covid-19 è la Cgil di Treviso attraverso i numeri delle richieste di Cassa integrazione. Solo nella Marca, dall’inizio della crisi le aziende che hanno chiesto accesso agli ammortizzatori sociali sono state 1.200 per quasi 23mila addetti di tutti i settori, ma il maggior numero di istanze giunge dal comparto artigiano, industriale e non, con circa 900 aziende che hanno fatto ricorso all’opzione per 8.500 dipendenti. Segue il settore dell’industria metalmeccanica di grandi dimensioni, con 7mila lavoratori coinvolti distribuiti in 140 fabbriche.
Se i numeri sono chiari per tutti, non sembra siano però convergenti le esortazioni su come agire. La grande industria, che da più giorni sta investendo per ridistribuire gli spazi e i turni e mettere in sicurezza i lavoratori, non dubita dell’importanza di continuare a produrre, ovviamente per quanto concedono le scompigliate dinamiche di mercato. Ma il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha ieri fatto cenno a pressioni giunte da altri segmenti dell’imprenditoria per intervenire sul governo affinché si assumano posizioni univoche in tutto il paese nel senso di un preferibile fermo temporaneo e totale di ogni produzione.
Posizione armonizzata con la Cgil che, attraverso il segretario generale, Christian Ferrari, chiede a Zaia di convocare tutte le parti, sindacali e datoriali, per trovare «le modalità più opportune per fermare le attività produttive in tutti gli ambiti non indispensabili alle esigenze sanitarie, alimentari, logistiche ed energetiche delle nostre comunità». Condividono Cisl e Uil benché il leader cislino Gianfranco Refosco si chieda cosa significhi attività «non indispensabili». «La produzione veneta è complessa, tutti i prodotti nascono da filiere anche lunghe. Fermare uno stadio vuol dire bloccare tutto da lì in poi”.