«Cucino per gli ultimi, con orgoglio»
Era il direttore di sala in un prestigioso ristorante a Londra, oggi è il responsabile della mensa dei poveri: «Serviamo da mangiare a circa cento persone, abbiamo bisogno di giovani volontari»
«Durante la guerra pilotava l’idrovolante e stava di base a Pola in Istria. Io presi il brevetto all’Aeroclub di Boscomantico, entrai all’Accademia aeronautica di Napoli per diventare ufficiale pilota: avevo un buon punteggio, peccato non avessi voglia di studiare, io volevo solo volare. Così mi rispedirono a casa». Ne seguono anni difficili e turbolenti, s’infila in qualche guaio di troppo: la vita è a un bivio. Tramite un’agenzia di collocamento gli si presenta l’opportunità di lavoro a Londra nella ristorazione; c’è una vita da andarsi a prendere, si parte: «Iniziai come cameriere in un noto ristorante italiano, Villa Frascati; mi trasferii quindi in un altro locale in pieno centro in una traversa di Oxford Street, Montebello. Dopo tre mesi, ero già direttore di sala». Gli studi della Bbc sono a due passi, il ristorante è frequentato dai giornalisti: «Andava tutto bene, poi il titolare si ritirò e lo rilevammo io e un cameriere turco. Ma tra di noi non c’era accordo, così me ne andai via». Si riparte dai Docks, «Zero Sette», lussuoso ristorante per i leoni rampanti della finanza: «Direttore di sala. Lavoro pesantissimo, con turni massacranti, ma di grande responsabilità e gratificazione professionale. Era frequentato da manager, modelle e celebrità. Jean Todt mi regalò il cappellino di Schumacher e i biglietti per il Gran Premio di Silverstone, ma conobbi anche personaggi come Jamie Oliver, l’ideatore del Truck Food, e Gordon Ramsay, star ai fornelli e in televisione in Hell’s Kitchen, un uomo simpaticissimo, molto franco e diretto, uno che non le manda a dire, insomma. E per questo mi piaceva molto». Il 7 luglio del 2005 Londra è sotto attacco di Al Qaeda: tre treni della metropolitana vengono colpiti quasi contemporaneamente e dopo poco meno di un’ora esplode un autobus. Gli attacchi causano 56 morti, e circa 700 feriti, è un’ecatombe: «Me lo ricordo bene quel giorno; dovevo essere su uno di quei treni per andare al lavoro; le bombe esplosero dieci minuti prima che vi salissi. Terribile». Umberto è un perfetto londinese, ma la salute non lo assiste: «Nel 2011 ebbi un principio di ischemia cerebrale. Dovetti tornare in Italia a curarmi. I medici di Borgo Roma mi dissero che il mio fisico non poteva più reggere carichi di stress e che dovevo pertanto cambiare vita». L’occasione per ricominciare arriva non esattamente nella più gradevole delle situazioni: «Al rientro da una cena con amici, incappai nelle rete dell’alcol test: il mio avvocato m’indirizzò al lavori socialmente utili, e la sede designata fu proprio il Gruppo volontariato Vincenziano di via Prato Santo». È l’uomo giusto, capitato nel posto giusto, al momento giusto. Pochi giorni bastano per guadagnarsi la fiducia e avere carta bianca nella gestione della mensa dei poveri: «Lavorare per gli ultimi mi rende orgoglioso. Devo ringraziare il presidente Aldo Fuochi per la fiducia che ha avuto in me. A destreggiarmi ai fornelli, ho imparato da “Zero Sette” a Londra, quando affiancavo e sostituivo lo chef nel suo giorno di riposo. Tra colazione e cena serviamo da mangiare a circa un centinaio di persone, ragazzi di colore, maghrebini e un clochard italiano che si crede Gesù Cristo. Ci riforniamo al Banco alimentare. Il lunedì, insieme alla signora della tesoreria diamo i pacchi viveri; ci sono poi le signore che vengono a distribuire gli abiti». Due anni fa, Umberto è stato testimonial della campagna Acli per il 5x1000: «Posso, lanciare un appello?».
Prego: «Abbiamo bisogno di giovani volontari che ci vengano a dare una mano in mensa». Coraggio, c’è bisogno di solidarietà a questo mondo. Oggi, più che mai.