Nuova Marghera vecchi problemi
Dalla fondazione agli anni del boom della chimica sono cambiate molte cose ma Porto Marghera continua a dividere.
«È una situazione che si ripete dove non ci sono investimenti sulla sicurezza e dove c’è una gestione avventurista degli impianti tesa solo a spremerli per lucrare su vantaggi contingenti senza guardare al futuro e senza tutelare la salute dei cittadini. È una lezione terribile che dobbiamo prendere per cambiare la situazione», dice Gianfranco Bettin, storico ambientalista e presidente della Municipalità di Marghera. La 3V Sigma era una delle aziende di Porto Marghera inserite nella lista degli impianti a rischio di incidente rilevante per le sostanze che utilizzano nella produzione. Le altre sono la raffineria dell’Eni, la Petroven, la Sapio, Versalis, Arkema, Fluorsid, la San Marco Petroli e la Decal. «Premesso che in un sito industriale la sicurezza totale è impossibile da garantire, Porto Marghera è più sicura rispetto al passato non fosse altro perché ci sono meno lavorazioni pericolose», precisa il presidente dell’Ente zona Sergio Lucchi.
E’ lontano il 1917 quando fu firmato il decreto per la costruzione della zona industriale, nel frattempo sono scomparsi fabbriche e uomini, che all’apice dello sviluppo, nel 1965, si contavano in 229 aziende e almeno 32 mila operai. Oggi sono poco meno di 8500, anche se le aziende si sono moltiplicate: l’ultimo report le stima in 915, ma oggi le più numerose si occupano di logistica, magazzinaggio, commercio all’ingrosso (spesso a sostegno del porto commerciale), attività di ingegneria e architettura, produzioni di software. La chimica, quella che aveva reso famosa Marghera è passata in secondo piano, nonostante Eni continui a confermare la sua presenza con la trasformazione green della raffineria che produce il biodiesel. E’ quel sottile file rosso che spesso ha intrecciato sviluppo e rischi per ambiente e la salute, che non si è mai spezzato, nonostante ieri dopo l’incidente non siano mancate le richieste di una riconversione veloce della zona industriale. Quella che non si è mai completata per mancanza di investimenti e tempi certi. I costi proibitivi e le procedure sulle bonifiche hanno sempre tenuto lontano gli imprenditori. «Da sempre come sindacato confederale siamo contrari alla contrapposizione tra salute, ambiente e lavoro — dicono Cgil, Cisl e Uil — E’ però necessario rendere concreti investimenti e progettazioni che coniughino questi temi, tanto più in un luogo così delicato e complesso qual è la città di Venezia, il suo territorio e la sua laguna».
Negli ultimi anni a seguito della revisione dei rapporti di sicurezza, le aziende hanno investito decine di milioni per adeguare gli impianti ai nuovi standard. C’è stata la riduzione sensibile delle condotte, sono state introdotte valvole per aumentare la sicurezza e ridurre la quantità di prodotto che rimane nella tubazione, sono diminuiti gli stoccaggi: una volta ad esempio c’erano serbatoi da 20 mila tonnellate, oggi ce ne sono da duemila. E naturalmente non ci sono più certe sostanze che hanno sempre fatto paura, come cloro, fosgene, acrilonitrile. L’incidente alla Dow Chemical del 2002, da queste parti non è stato ancora dimenticato, quando due esplosioni a venti metri da un serbatoio di fosgene scatenarono il panico (l’impianto è stato smantellato nel 2006). Ma oggi il rischio principale non è più sui prodotti tossici (quelli direttamente pericolosi per la salute) ma infiammabili, per l’effetto che possono scatenare. «La mia storia mi porta a dire che le aziende investono un budget importante per la manutenzione — interviene il presidente dell’Ente zona industriale di Marghera Lucchi — non a caso l’incidente alla 3VSigma è l’unico rilevante negli ultimi dieci anni, e possiamo andare ancora più indietro nel tempo. Ci sono stati piccoli inconvenienti d’accordo, ma la sicurezza negli impianti industriali non è mai totale. Cercherei di non generalizzare quando si parla di scarsa manutenzione...».
Dice il presidente della Municipalità Gianfranco Bettin: «E’ stato in un certo senso un incendio, un disastro, annunciato. Solo pochi mesi fa, infatti, i lavoratori avevano scioperato per la sicurezza, denunciando tra l’altro l’insufficienza degli impianti anti incendio». Forse non è un caso che il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto si stia chiedendo se l’azienda andata a fuoco fosse all’altezza della gestione delle sostanze che utilizzava.
Bettin È stato in un certo senso un incendio, un disastro, annunciato Solo pochi mesi fa, infatti, i lavoratori avevano scioperato per la sicurezza, denunciando l’insufficienza degli impianti anti incendio È una lezione terribile che dobbiamo prendere per cambiare la situazione