IL LEGHISTA E IL DEM LA STRANA COPPIA
Sono la strana coppia della politica italiana. Da una parte il governatore del Veneto, Luca Zaia, leghista, laurea in veterinaria, classe 1968, alla guida della propria Regione dal 7 aprile 2010 e in attesa (quando mai si andrà a votare) di una scontata riconferma per il suo terzo mandato consecutivo. Dall’altra, il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, democratico, diploma di maturità scientifica, classe 1967, a capo della propria Regione dal dicembre 2014 e appena rieletto, in una sfida «nazionale» più che regionale, nel gennaio 2020, quando sconfisse la leghista Lucia Bergonzoni ma in realtà mise all’angolo Matteo Salvini, che in Emilia Romagna aveva piantato le tende per tutta la campagna elettorale.
Sperava, Salvini, di accaparrarsi la «regione rossa» per dare una spallata al Conte-bis (Pd-M5s), l’esecutivo nato proprio grazie all’addio del «capitano» al governo gialloverde (M5s-Lega). Ma gli è andata male. Se vogliamo, anche Zaia ha avuto modo di «battere» Salvini (oltre a Mattarella e Conte), superandolo nella classifica di gradimento dei politici italiani nella gestione del coronavirus, in un sondaggio elaborato da Winpoll il 28 aprile scorso: per il «Doge» il 46% dei consensi e la palma di miglior politico italiano, per il suo «capo» solo il 19%. Ma non è l’aver «sconfitto» entrambi Salvini il collante che fa di Zaia e Bonaccini la «strana coppia» della politica italiana al tempo del Covid-19. Entrambi autonomisti convinti (più light la proposta emiliana con 15 materie, più strong quella veneta con 23), si sentono ogni giorno, elaborano strategie comuni per fronteggiare da un lato la diffusione del contagio e dall’altro per garantire la ripresa del maggior numero di attività produttive. Studiano le ordinanze, se le passano e le valutano, adottano una linea comune che è il vero cardine del loro agire, sicuramente post-ideologico pur nel rispetto e nella profonda convinzione del rispettivo credo politico, leghista e democratico. Fanno pressing incrociato sul governo, in questa lunga e difficile partita dell’emergenza coronavirus, come due attaccanti di razza che sanno quanto sia importante andare subito a recuperare palla per poter affondare il colpo. Hanno automatismi rodati: Zaia «usa» Bonaccini per ammorbidire le posizioni dell’esecutivo; Bonaccini «usa» Zaia come testa d’ariete quando ha bisogno di alzare il tiro per convincere il governo a rivedere posizioni troppo restrittive. È l’asse regionalista, quella nata in questi mesi di Covid-19, che avrà strascichi significativi anche quando l’emergenza sanitaria (come tutti auspichiamo) sarà alle spalle. Lo si è capito quando un esponente del Pd (l’ex ministro Andrea Orlando) e uno del M5s (il capo politico Vito Crimi) hanno infiammato il dibattito proponendo un ritorno alla sanità statale come conseguenza delle troppe diversità tra i vari sistemi sanitari regionali che generano «speranze di vita differenziate». Zaia è stato sibillino: «Uscita improvvida», sventolando lo spettro del referendum: «Faremo rispondere al popolo veneto»; Bonaccini si è sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda, parlando di «ingegneria istituzionale cui non frega niente ad alcuno», e aggiungendo che a opporsi non sarebbe Bonaccini ma «tutti i cittadini emiliano-romagnoli». Insomma, uno è leghista e l’altro è dem. Ma su autonomia, potere regionalista da contrapporre al governo e difesa degli interessi del proprio territorio, la pensano alla stessa maniera. Della serie… governatori alleati, anche se con idee contrapposte. È il nuovo corso della politica nato dall’emergenza coronavirus.