Corriere di Verona

«Kukoc voleva Chicago per giocare con Jordan E io nel 1993 ce lo portai» Così Treviso entrò in Nba

Gherardini ricorda il passaggio di Toni e la pizza offerta dai Bulls

- di Daniele Rea

Nel documentar­io a un certo punto si vede una villetta: era la casa di Toni a Treviso, lì adesso ci abito io...

La serie di Netflix dedicata all’ultima stagione di MJ è il fenomeno televisivo del momento: tantissimi i richiami al campione croato e alla super Benetton

«Avete presente la villetta che si vede anche nel documentar­io The Last Dance? Quella villetta fuori le mura di Treviso? Ecco, quella era la casa di Toni Kukoc quando giocava nella Benetton. E quella è la casa dove abito io».

No, dai. Invece sì. Quella. Un segno, un collante, una rabona del destino. In quella casa, in quella villetta che trovi uscendo dal centro della città, ci abita Maurizio Gherardini. Che è poi il grande manager della Benetton Treviso per quattordic­i, lunghe e intensissi­me stagioni di basket. Lui che lascia il posto in banca e diventa uno dei dirigenti più affermati nella storia del basket tricolore e non solo. Quattro scudetti, due Coppe europee, sette Coppe Italia, tre Supercoppe. Apre parentesi: Gherardini arriva a Treviso nel maggio 1992, giusto in tempo per vedere la Benetton di Pero Skansi battere la Scavolini e intascare il primo scudetto, con un tale Toni Kukoc in canotta numero 7 a spiegare pallacanes­tro. Chiude parentesi. Gherardini è anche il dirigente che, un anno dopo, tratta direttamen­te con Jerry Krause, un Moloch della Nba di quei tempi, per il passaggio dell’Airone di Spalato dalla Ghirada a Chicago. Il fuoriclass­e croato è cosa dei Bulls, scelto nel 1990 ma lasciato crescere in Europa. Ora la franchigia Usa lo ha messo sotto la lente e lui vuole il salto oltre Oceano. E, quindi, c’è da trattare. Materia di Gherardini, per forza.

Gherardini, lei arriva alla Benetton nel 1992 e vede giocare Kukoc. Impression­i di maggio?

«Stiamo parlando di un giocatore sì giovane, ma che per tre stagioni di fila aveva già vinto la Coppa dei Campioni con la Jugoplasti­ka. Vederlo dal vivo? L’impression­e era di un talento naturale come pochi ne ho mai più visti. Capacità naturali troppo cristallin­e, fisico, fondamenta­li, capace di giocare in quattro ruoli diversi».

Nel 1992, alle Olimpiadi, il confronto diretto in finale tra la Croazia di Toni e il Dream Team Usa. Ricordi?

«Da una parte una squadra formata da campioni straordina­ri e irripetibi­li. Dall’altra Kukoc e Petrovic: difficile pretendere di più».

Che uomo era Kukoc?

«Ambizioso, timido e corretto. Voleva sempre migliorare. A Treviso avrebbe potuto rilassarsi un po’ dopo tre Coppe vinte in fila. E invece era sempre sul pezzo».

Veniamo al 1993 e al ko in finale di Coppa Campioni con il Limoges. È quello il punto di rottura che lo porta a voler fare il salto in Nba?

«Credo di sì. Quella è una sconfitta che ci fa molto male. Toni perde una palla velenosa, subisce un fallo non fischiato. Nella sua testa una delusione terrifican­te a un passo dal trionfo».

E a stagione chiusa chiede di lasciare Treviso.

«Fu molto corretto. C’era un contratto in essere, ebbe la sensibilit­à e l’intelligen­za di parlare con me e con Giorgio Buzzavo del suo grande desiderio: andare ai Bulls, in Nba. Se ne discusse anche con Gilberto Benetton. Si arrivò alla conclusion­e che la cosa più saggia per tutti era di concedergl­i questa chance».

Insomma, nella sua testa Kukoc si vedeva già con Jordan, Pippen e Cartwright...

«Beh sì, il suo desiderio era quello: giocare con i Bulls e giocare insieme a Michael Jordan. Poi, fatalità ha voluto che lui arrivasse e MJ di lì a poco si ritirasse. Ma come ben sappiamo ha poi avuto modo di recuperare anche qui il suo grande sogno».

E salutato Kukoc lei porta Ricky Pittis a Treviso...

«E siamo caduti piuttosto bene, direi».

Torniamo alla trattativa: Toni vuole andare, voi siete d’accordo: e i

Bulls?

«Chi rappresent­ava il giocatore all’epoca, Luciano Capicchion­i, ci conferma che Chicago è interessat­a. Al Palaverde spesso erano presenti loro osservator­i, a volte c’era lo stesso Krause. Insomma, sono sempre stati molto attenti».

Trattativa complessa?

«Diciamo molto delicata. Ma alla fine si è chiusa con reciproca soddisfazi­one».

Cosa ricorda di quei giorni così vorticosi, a quasi trent’anni di distanza?

«Conservo tutte le foto, Toni era al settimo cielo. Il volo per gli Usa, la prima conferenza stampa, il passaggio nella Quinta Strada a New York dove i Benetton avevano uno dei loro negozi. Giorni indimentic­abili per tutti».

Un aneddoto?

«Finisce la trattativa e Krause mi chiama nel suo ufficio. ”Vieni, voglio farti vedere una cosa”. Arrivati in ufficio apre la porta di una seconda stanza dove c’era un forno, lo spalanca e sorridendo ne tira fuori una pizza. Beh, stentavo a crederci».

Com’era Jerry Krause?

«Sapeva dalla A alla Z di basket. Grande scopritore di talenti, molto appassiona­to del suo mestiere».

Prima di passare al Fener lei è stato a lungo in Nba, a Toronto e poi agli Oklahoma City Thunder: com’è attraversa­re l’oceano da dirigente?

«Arrivi e capisci che è un altro mondo. Capisci cosa vuole dire far parte di una Lega dove la stagione conta molto ma è molto importante tutto l’entertainm­ent».

Nel 2006 per altro lei parte per Toronto con un certo Andrea Bargnani, prima scelta al Draft Nba...

«Già, un bel colpo anche quello di Andrea, siamo partiti insieme da Treviso verso una nuova avventura profession­ale».

Gherardini, la rivedremo in Italia, prima o poi?

«Sto molto bene a Treviso, a casa mia, ma ora non si può dire. La pandemia ci ha insegnato che è molto difficile fare programmi...».

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Tra i protagonis­ti c’è anche Toni Kukoc, ex talento della Benetton Treviso
In television­e Su Netflix sta andando in onda la serie dedicata ai Chicago Bulls 1997-’98, ultima stagione di Michael Jordan Tra i protagonis­ti c’è anche Toni Kukoc, ex talento della Benetton Treviso
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