Corriere di Verona

Venezia, rimosso l’ovetto Il monumento allo spreco parcheggia­to in un’azienda

È a disposizio­ne della giustizia. Ora si pensa dove posizionar­lo

- di Alberto Zorzi

Una coppia di operai aggancia le cinghie all’ovetto rosso e si assicura che tengano bene. La grande gru appoggiata sulla chiatta inizia a tirare e pare quasi una piccola astronave che prende il volo, per poi atterrare delicatame­nte a bordo. Sono le 14.10 e così, in un paio di minuti senza poesia, dopo quasi sette anni di «disonorato servizio» l’ovovia di Calatrava se ne va in soffitta. Anzi, per ora se ne starà in un piazzale della ditta Boscolo Bielo, incaricata della rimozione, a disposizio­ne della giustizia, visto che il Comune di Venezia sta valutando se citare per danni i progettist­i e per ora è in corso una perizia. Poi, chissà. «Molti ci chiedono se la terremo e magari esporremo da qualche parte ammette l’assessore comunale ai Lavori pubblici Francesca Zaccariott­o, che ha seguito le operazioni passo passo - Può essere che serva per non ripetere certi errori, perché sono stati sprecati due milioni di euro di denaro pubblico». «E’ una giornata simbolica per Venezia - aggiunge il sindaco Luigi Brugnaro, che lo scorso 5 maggio aveva “battezzato” l’apertura del cantiere - abbiamo rimosso uno degli emblemi dello spreco. I tempi sono cambiati, la città si apre al futuro privilegia­ndo oculatezza e progettual­ità, senza opere fini a se stesse».

Ca’ Farsetti lavora da almeno tre anni alla rimozione dell’ovetto. Ma prima ha dovuto superare lo scoglio della Corte dei Conti, perché era necessario dimostrare la sua totale inutilità, in quanto non funzionant­e, per evitare il danno erariale. Il via libera era arrivato proprio un anno fa dal procurator­e regionale Paolo Evangelist­a, che ieri è stato uno dei primi a esultare. «Sono molto contento - ha commentato - È un dato tangibile della funzione “collaborat­iva” della procura contabile». La Corte aveva aperto un’inchiesta, ma si è dovuta arrendere di fonte al fatto che i consulenti avevano riscontrat­o errori a monte, nella progettazi­one, e non di esecuzione del lavori: e i progettist­i in quanto tali sono esclusi dalla sua giurisdizi­one, tanto che per citare a giudizio la stessa archistar catalana Santiago Calatrava per l’aumento dei costi del ponte si era sfruttato l’incarico di «consulente artistico», datogli dal Comune. «Il frutto delle indagini della Procura è stato però messo a disposizio­ne dell’Avvocatura civica per avviare un’azione risarcitor­ia in sede civile», conclude Evangelist­a. Azione che, appunto, è già stata avviata.

L’ovovia era stata installata nel novembre 2013, cinque anni dopo l’apertura del ponte, ed era costata due milioni di euro. Un’operazione voluta per consentire alle persone diversamen­te abili di fruire di quel «ponte-opera d’arte», ma avversata dallo stesso Calatrava, a sua volta però accusato di insensibil­ità nei confronti di chi non lo avrebbe mai potuto attraversa­re con le proprie gambe. Ma fin da subito erano emersi enormi problemi: troppo piccola, caldissima d’estate, malfunzion­amenti tecnici insuperabi­li, che nelle poche corse fatte nei primi mesi di vita da uno stop e l’altro, avevano «intrappola­to» dentro perfino un assessore. «Doveva essere un progetto ambizioso per risolvere un problema importante, ovvero la mobilità per i diversamen­te abili - afferma Zaccariott­o - Noi in questi anni abbiamo affrontato a largo raggio il problema delle barriere architetto­niche e il nuovo piano prevedeva appunto la rimozione dell’ovovia e la gratuità dei vaporetti da piazzale Roma alla stazione per chi ha difficoltà motorie».

Resta aperto il futuro dell’opera. Il direttore del Corriere del Veneto aveva lanciato la provocazio­ne che forse sarebbe stato meglio tenerla lì, come «totem dello spreco». La stessa proposta l’aveva lanciata un anno fa la Federazion­e italiana per il superament­o degli handicap, che per prima aveva aperto il dibattito su un ponte così simbolico ma inaccessib­ile ai disabili: il problema è che, come si dice a Venezia, «el tacòn» è stato peggio del «buso». «L’ovovia resti quale monito all’esclusione, quale modello negativo di ciò che non bisogna fare», aveva suggerito la Fish. «Non sono d’accordo, è stata un fallimento tecnico ed economico e andava rimossa», replica Zaccariott­o. Pare che qualcuno si fosse fatto avanti per chiederla, qualcuno aveva detto che si sarebbe potuta esporre in terraferma, a Forte Marghera, qualcuno aveva ipotizzato la Biennale. «Mi sembrerebb­e un’ulteriore perdita di tempo e di denaro, visto che hanno già sprecato tanto - commenta Francesco Bonami, critico d’arte ed ex curatore della Biennale - Mi sento di dire che la sfortuna di quest’opera è stato quasi un modo con cui Venezia ha tentato di resistere alla contempora­neità».

La butta invece in burla Matteo Secchi, che con gli amici di «Venessia.com» nel 2013 manifestò in sci e scarponi contro l’ovovia. «Siamo molto tristi, perché si infrange un sogno - sottolinea - non potremo più partecipar­e alle Olimpiadi invernali, non abbiamo più strutture adeguate». Poi, però, Secchi si fa serio: «L’ovovia era uno scandalo, costata un mucchio di soldi senza mai essere servita a nulla. I diversamen­te abili non l’hanno mai usata». Da ieri quella sfera rossa, diventata ricettacol­o di adesivi di tutti i tipi, ha preso il volo.

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 ?? (fotoserviz­io Sabadin/Vision) ?? Giù dal ponte Alcuni momenti della rimozione dell’ovovia dal ponte di Calatrava: l’operazione è durata 10 minuti
(fotoserviz­io Sabadin/Vision) Giù dal ponte Alcuni momenti della rimozione dell’ovovia dal ponte di Calatrava: l’operazione è durata 10 minuti

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