Tacconelli da Zaia: «Il vero d-day? Sarà il 14 giugno»
La scienziata di Verona racconta le ultime scoperte dai bambini («Li rimanderei a scuola») ai guariti: «Molti di loro lamentano problemi psicologici» Tacconelli: «Dall’Avigan alla clorochina, ecco su cosa stiamo lavorando»
Il 14 giugno è la data da cerchiare in rosso sul calendario per Evelina Tacconelli, direttrice della Scuola di Specializzazione di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona,ieri al fianco del governatore Luca Zaia nella quotidiana conferenza stampa di mezzodì.
Il 14 giugno è la data da cerchiare in rosso sul calendario. O almeno è quella cerchiata sul calendario di Evelina Tacconelli, direttrice della Scuola di Specializzazione di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona, direttrice del Centro di Malattie Infettive dell’Università di Tübingen, in Germania, ieri al fianco del governatore Luca Zaia nella quotidiana conferenza stampa di mezzodì. «Quel giorno, ad un mese dalla fine del lockdown e dall’avvio della Fase 2, saremo in grado di capire come stanno andando veramente le cose, se le linee guida hanno funzionato, se il distanziamento sociale, l’uso della mascherina e le altre precauzioni adottate sono sufficienti a tenerci al sicuro dal virus».
Se una cosa è chiara, oggi, è che di chiaro all’inizio dell’emergenza non c’era nulla: (quasi) tutto sul coronavirus, complici silenzi e renitenze della Cina, è stato scoperto strada facendo, studiando. Un processo che non si è mai fermato, nonostante molte persone sembrino essersi già scordate la tragedia, come dimostra il fatto che proprio Tacconelli segue col suo team a Verona 29 studi diversi, 4 dei quali insieme ad altri centri di ricerca. «Abbiamo imparato che non si tratta affatto di un’influenza; che è una malattia pluri-fase, che evolve col passare dei giorni; che è multi-organo, non interessa solo i polmoni ma anche il cuore, il midollo osseo, talvolta con effetti devastanti».
Grazie alla continua ricerca, nonostante la stessa infettivologa ammetta che «ad oggi non è stata trovata una terapia efficace al 100%», è stato possibile mettere a punto diverse cure, con farmaci differenti a seconda dello stadio dell’infezione: «Lo studio Solidarity è basato sull’uso del Remdesivir, un farmaco antivirale che sta dando buoni risultati nella prima fase. Poi c’è Muravid, studio che stiamo conducendo insieme all’ospedale Sacco di Milano, molto innovativo, ce n’è uno simile solo negli Usa, perché unisce il Remdesivir a immunomodulatori utilizzati per la cura, ad esempio, dell’artrite reumatoide, per cui noi contemporaneamente abbassiamo le difese immunitarie e attacchiamo il virus. Infine c’è lo studio Arco, il più interessante di tutti perché basato su un nuovo approccio, portare la terapia a casa del paziente il prima possibile, evitando così l’ospedalizzazione. In quest’ultimo caso, la terapia si basa sulla somministrazione dell’Avigan».
La clorochina e l’idrossiclorochina, i farmaci anti-malariinducono ci cari a Donald Trump (che però ha smesso di assumerli)? «Al momento abbiamo informazioni estremamente discordanti, in alcuni casi è stato registrato addirittura un aumento della mortalità, probabilmente perché erano state abbinate ad altri farmaci che problemi cardiovascolari». Studi approfonditi si stanno conducendo anche sui giorni successivi alla scomparsa del virus, non soltanto quanto alla risposta immunitaria: «Alcuni pazienti mostrano problemi di coagulazione del sangue, fibrosi polmonari e conseguenze psicologiche importanti, come la difficoltà ad addormentarsi». Olfatto e gusto invece, «tornano mediamente dopo 4-5 settimane».
Ribadita ancora una volta l’importanza dell’uso della mascherina («Ricordo ai tanti che protestano che grazie alle mascherine i medici in prima linea negli ospedali si sono infettati per appena l’1,3%» è sbottato ieri Zaia) e confermata l’allerta su bambini e ragazzi che «non hanno decorsi preoccupanti ma sono veicoli di trasmissione del virus» (ma se il quadro epidemiologico fosse confermato nelle prossime settimane «potrebbero e dovrebbero tornare a scuola»), Tacconelli invita a guardare per il futuro alla Germania, «dove sono stati implementati i reparti di terapia semi intensiva e non quelli di terapia intensiva. L’obiettivo, infatti, è consentire al paziente di “tornare indietro” ricorrendo a macchine di ultima generazione per la ventilazione, piuttosto che intubarlo».
Infine un avvertimento ai tanti che ancora cavillano sui morti con il coronavirus e per il coronavirus: «Da sempre le infezioni hanno una mortalità più elevata nei soggetti immunodepressi o pluripatologici dice Tacconelli - ma sia chiaro che un uomo di 55 anni, sano, può morire. E la probabilità, purtroppo, non è affatto bassa».
Tacconelli Come strategia per il futuro facciamo come la Germania, investiamo sulle terapie semiintensive non su quelle intensive