«Grandi scienziati e sanità pubblica, i meriti del modello sono di una squadra»
Rosario Rizzuto, alla guida dell’Ateneo di Padova, dopo le recenti polemiche tra Zaia e Crisanti. «Così abbiamo affrontato la guerra contro il Covid»
Polemiche o meno, è innegabile che l’apporto dell’Università di Padova nell’emergenza coronavirus, anche per la sperimentazione dei farmaci anti-Covid, sia risultato fondamentale. Lo sa bene Rosario Rizzuto, rettore ma anche medico e ricercatore: «Nel mondo hanno già perso la vita 348.223 persone, sono numeri terribili, ogni morto è una sconfitta, nessuno può dirsi soddisfatto. Però il Veneto, che ha pianto la prima vittima in Occidente, ora registra la proporzione più bassa d’Europa tra decessi e milioni di abitanti, dietro la Germania. E’ la dimostrazione che ha saputo rispondere in modo adeguato all’epidemia e l’Ateneo di Padova ha dato il proprio contributo, impegnandosi al massimo con grandi scienziati in prima linea, docenti, amministrativi, medici, specializzandi, tirocinanti. Abbiamo portato subito l’approccio scientifico al letto di ogni malato».
Un successo frutto della collaborazione tra istituzioni o dell’intuizione di singoli?
«L’Ateneo è parte di un sistema sanitario pubblico straordinario a tutti i livelli, senza il quale non si sarebbero raggiunti questi risultati. Il Veneto ha tracciato la strada da seguire, con ospedali dedicati all’emergenza coordinati con gli altri e con il territorio, con la scelta di curare gli asintomatici a casa per non intasare i reparti e grazie a un coordinamento complessivo, affidato alla Regione, che ha saputo valorizzare il lavoro degli scienziati, trasformandolo in cure uguali per tutti i 5 milioni di abitanti. La sanità veneta dev’essere orgogliosa di essere diventata una paladina della salute pubblica e un modello da esportare».
Strategico il ruolo dell’Università, assente altrove.
«Noi abbiamo dato una mano appassionata, che ha migliaia di volti. Qualcuno lo riconosciamo subito, come quello del professor Andrea Crisanti, che ha assunto una notorietà internazionale, ma non vanno dimenticati gli altri, medici ospedalieri inclusi. Mi riferisco al professor Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazione in Azienda ospedaliera e della Scuola di specialità, al professor Stefano Merigliano, presidente della Scuola di Medicina, al dottor Ivo Tiberio, direttore di Anestesia e Rianimazione, al professor Andrea Vianello, a capo delle Terapie sub-intensive, idea geniale che ha evitato il sovraffollamento delle Rianimazioni e un eccessivo stress ai pazienti. E poi vanno ricordati il professor Roberto Vettor, che ha trasformato la sua Clinica Medica 3 in un reparto Covid, la dottoressa Annamaria Cattelan, primario delle Malattie infettive e tra i primi clinici coinvolti nella sperimentazione dei farmaci, come la dottoressa Giustina De Silvestro, a capo del Centro trasfusionale, selezionato per la terapia con il plasma dei guariti. Loro, e tanti altri, sono i pezzi di una vittoria collettiva».
Quindi ha vinto la squadra, al di là dei personalismi?
«Sì e l’Università è parte armonica e leale di un sistema vincente, nel quale ha profuso impegno, dedizione e collaborazione».
Però il professor Andrea Crisanti sta sparando a zero sulla Regione. Come la vede?
«Io non vedo motivi di polemica. Ognuno mette a disposizione le proprie competenze. Crisanti è uno scienziato di grande valore, lo studio che ha condotto su Vo’ Euganeo è in valutazione da Nature, la rivista più prestigiosa al mondo. Ma il piano di sanità pubblica, che tra l’altro prevede i tamponi in tutte le sette province, è stato elaborato, e molto bene, dalla Regione. Non c’è dicotomia tra le due funzioni, ciascuno dev’essere orgoglioso di ciò che ha fatto. Non vorrei che perdessimo di vista un concetto chiave: se abbiamo raggiunto grandi risultati è perché lo scienziato ha fatto lo scienziato e la responsabile della sanità pubblica (la dottoressa Francesca Russo, ndr) ha svolto il proprio compito. Se ognuno di noi fosse andato per conto suo, ora non potremmo celebrare il successo del modello veneto: tutti hanno i loro meriti, negandolo si rischia di sporcare l’esito di tanto lavoro. Il merito della Regione è di aver portato a sistema l’impegno collettivo, nel quale vanno ricompresi i medici di famiglia, perché se tutti i contagiati fossero stati ricoverati, gli ospedali sarebbero collassati. Con la Regione c’è un buon rapporto, non sono preoccupato».
E poi c’è stato lo sciopero degli specializzandi.
«Il loro contributo è strategico, fin dall’inizio si sono rimboccati le maniche, anche
Medici e scienziati in prima linea, costretti a lavorare con lo scafandro addosso e ad allontarsi dalla famiglia, sono effettivamente eroi
chi non era in prima linea ha chiesto di andarci. Sono l’emblema di un Paese che nei momenti di difficoltà dà il meglio di sé, mostrando grande generosità».
Con quale animo usciamo da questa emergenza?
«Con la consapevolezza ancora più forte che la scienza serve. Ci siamo costruiti un bagaglio di sapere utile ad affrontare emergenze future ancora inattese. Se siamo riusciti a fronteggiare il Covid-19, evitando danni molto maggiori, è per l’abitudine all’applicazione scientifica rigorosa, che ti forma, ti prepara. Senza il sapere, la conoscenza, non ne esci. Altrettanto determinante la professionalità: se sei abituato a gestire situazioni di grande complessità, hai acquisito la metodologia necessaria a far fronte a qualsiasi emergenza».
E’ la rivincita del sistema pubblico, negli ultimi dieci anni privato di 37 miliardi di finanziamenti e 70mila letti?
«Sì, ha permesso di operare su grande scala, riorganizzare gli ospedali e convertire reparti rapidamente e in modo efficiente».
Oggi gli scienziati sono tutti eroi, ma svanito il Covid19 rischiano di tornare nell’ombra, a fare i conti con i fondi più bassi al mondo o costretti a fuggire all’estero.
«Il messaggio da far passare è che la scienza non è un lusso, ma il sostegno da costruire per superare le sfide lanciate dalla natura e dalla società. Medici e scienziati in prima linea si meritano di essere trattati da eroi: per mesi hanno vissuto con lo scafandro addosso e quando tornavano a casa non c’era nessuno ad accoglierli, perché per la paura di contagiarli hanno trasferito altrove i familiari o se ne sono andati loro, magari in albergo. Un po’ di riconoscimento a tanto sacrificio è giusto. Però una volta scesi dal piedistallo, devono tornare alla normalità, non all’oblio. Lo Stato riconosca l’importanza del lavoro scientifico, la ricerca non dev’essere sempre la prima voce di bilancio da tagliare».
Un appello all’imprenditoria?
«L’Università sta dando un contributo di idee per far ripartire l’economia, alla quale chiedo di non dimenticarsi dal progresso scientifico ma di sostenerlo. Ci prepara a superare sfide future che nemmeno immaginiamo».