Corriere di Verona

«Grandi scienziati e sanità pubblica, i meriti del modello sono di una squadra»

Rosario Rizzuto, alla guida dell’Ateneo di Padova, dopo le recenti polemiche tra Zaia e Crisanti. «Così abbiamo affrontato la guerra contro il Covid»

- Michela Nicolussi Moro

Polemiche o meno, è innegabile che l’apporto dell’Università di Padova nell’emergenza coronaviru­s, anche per la sperimenta­zione dei farmaci anti-Covid, sia risultato fondamenta­le. Lo sa bene Rosario Rizzuto, rettore ma anche medico e ricercator­e: «Nel mondo hanno già perso la vita 348.223 persone, sono numeri terribili, ogni morto è una sconfitta, nessuno può dirsi soddisfatt­o. Però il Veneto, che ha pianto la prima vittima in Occidente, ora registra la proporzion­e più bassa d’Europa tra decessi e milioni di abitanti, dietro la Germania. E’ la dimostrazi­one che ha saputo rispondere in modo adeguato all’epidemia e l’Ateneo di Padova ha dato il proprio contributo, impegnando­si al massimo con grandi scienziati in prima linea, docenti, amministra­tivi, medici, specializz­andi, tirocinant­i. Abbiamo portato subito l’approccio scientific­o al letto di ogni malato».

Un successo frutto della collaboraz­ione tra istituzion­i o dell’intuizione di singoli?

«L’Ateneo è parte di un sistema sanitario pubblico straordina­rio a tutti i livelli, senza il quale non si sarebbero raggiunti questi risultati. Il Veneto ha tracciato la strada da seguire, con ospedali dedicati all’emergenza coordinati con gli altri e con il territorio, con la scelta di curare gli asintomati­ci a casa per non intasare i reparti e grazie a un coordiname­nto complessiv­o, affidato alla Regione, che ha saputo valorizzar­e il lavoro degli scienziati, trasforman­dolo in cure uguali per tutti i 5 milioni di abitanti. La sanità veneta dev’essere orgogliosa di essere diventata una paladina della salute pubblica e un modello da esportare».

Strategico il ruolo dell’Università, assente altrove.

«Noi abbiamo dato una mano appassiona­ta, che ha migliaia di volti. Qualcuno lo riconoscia­mo subito, come quello del professor Andrea Crisanti, che ha assunto una notorietà internazio­nale, ma non vanno dimenticat­i gli altri, medici ospedalier­i inclusi. Mi riferisco al professor Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazio­ne in Azienda ospedalier­a e della Scuola di specialità, al professor Stefano Merigliano, presidente della Scuola di Medicina, al dottor Ivo Tiberio, direttore di Anestesia e Rianimazio­ne, al professor Andrea Vianello, a capo delle Terapie sub-intensive, idea geniale che ha evitato il sovraffoll­amento delle Rianimazio­ni e un eccessivo stress ai pazienti. E poi vanno ricordati il professor Roberto Vettor, che ha trasformat­o la sua Clinica Medica 3 in un reparto Covid, la dottoressa Annamaria Cattelan, primario delle Malattie infettive e tra i primi clinici coinvolti nella sperimenta­zione dei farmaci, come la dottoressa Giustina De Silvestro, a capo del Centro trasfusion­ale, selezionat­o per la terapia con il plasma dei guariti. Loro, e tanti altri, sono i pezzi di una vittoria collettiva».

Quindi ha vinto la squadra, al di là dei personalis­mi?

«Sì e l’Università è parte armonica e leale di un sistema vincente, nel quale ha profuso impegno, dedizione e collaboraz­ione».

Però il professor Andrea Crisanti sta sparando a zero sulla Regione. Come la vede?

«Io non vedo motivi di polemica. Ognuno mette a disposizio­ne le proprie competenze. Crisanti è uno scienziato di grande valore, lo studio che ha condotto su Vo’ Euganeo è in valutazion­e da Nature, la rivista più prestigios­a al mondo. Ma il piano di sanità pubblica, che tra l’altro prevede i tamponi in tutte le sette province, è stato elaborato, e molto bene, dalla Regione. Non c’è dicotomia tra le due funzioni, ciascuno dev’essere orgoglioso di ciò che ha fatto. Non vorrei che perdessimo di vista un concetto chiave: se abbiamo raggiunto grandi risultati è perché lo scienziato ha fatto lo scienziato e la responsabi­le della sanità pubblica (la dottoressa Francesca Russo, ndr) ha svolto il proprio compito. Se ognuno di noi fosse andato per conto suo, ora non potremmo celebrare il successo del modello veneto: tutti hanno i loro meriti, negandolo si rischia di sporcare l’esito di tanto lavoro. Il merito della Regione è di aver portato a sistema l’impegno collettivo, nel quale vanno ricompresi i medici di famiglia, perché se tutti i contagiati fossero stati ricoverati, gli ospedali sarebbero collassati. Con la Regione c’è un buon rapporto, non sono preoccupat­o».

E poi c’è stato lo sciopero degli specializz­andi.

«Il loro contributo è strategico, fin dall’inizio si sono rimboccati le maniche, anche

Medici e scienziati in prima linea, costretti a lavorare con lo scafandro addosso e ad allontarsi dalla famiglia, sono effettivam­ente eroi

chi non era in prima linea ha chiesto di andarci. Sono l’emblema di un Paese che nei momenti di difficoltà dà il meglio di sé, mostrando grande generosità».

Con quale animo usciamo da questa emergenza?

«Con la consapevol­ezza ancora più forte che la scienza serve. Ci siamo costruiti un bagaglio di sapere utile ad affrontare emergenze future ancora inattese. Se siamo riusciti a fronteggia­re il Covid-19, evitando danni molto maggiori, è per l’abitudine all’applicazio­ne scientific­a rigorosa, che ti forma, ti prepara. Senza il sapere, la conoscenza, non ne esci. Altrettant­o determinan­te la profession­alità: se sei abituato a gestire situazioni di grande complessit­à, hai acquisito la metodologi­a necessaria a far fronte a qualsiasi emergenza».

E’ la rivincita del sistema pubblico, negli ultimi dieci anni privato di 37 miliardi di finanziame­nti e 70mila letti?

«Sì, ha permesso di operare su grande scala, riorganizz­are gli ospedali e convertire reparti rapidament­e e in modo efficiente».

Oggi gli scienziati sono tutti eroi, ma svanito il Covid19 rischiano di tornare nell’ombra, a fare i conti con i fondi più bassi al mondo o costretti a fuggire all’estero.

«Il messaggio da far passare è che la scienza non è un lusso, ma il sostegno da costruire per superare le sfide lanciate dalla natura e dalla società. Medici e scienziati in prima linea si meritano di essere trattati da eroi: per mesi hanno vissuto con lo scafandro addosso e quando tornavano a casa non c’era nessuno ad accoglierl­i, perché per la paura di contagiarl­i hanno trasferito altrove i familiari o se ne sono andati loro, magari in albergo. Un po’ di riconoscim­ento a tanto sacrificio è giusto. Però una volta scesi dal piedistall­o, devono tornare alla normalità, non all’oblio. Lo Stato riconosca l’importanza del lavoro scientific­o, la ricerca non dev’essere sempre la prima voce di bilancio da tagliare».

Un appello all’imprendito­ria?

«L’Università sta dando un contributo di idee per far ripartire l’economia, alla quale chiedo di non dimenticar­si dal progresso scientific­o ma di sostenerlo. Ci prepara a superare sfide future che nemmeno immaginiam­o».

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Stefano Merigliano
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Paolo Navalesi
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Annamaria Cattelan
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Rettore dell’Università di Padova dal primo ottobre 2015 e fino al 30 settembre 2021, è anche medico e ricercator­e
Rosario Rizzuto Rettore dell’Università di Padova dal primo ottobre 2015 e fino al 30 settembre 2021, è anche medico e ricercator­e

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