Arrestati per droga in carcere Poliziotti assolti dopo 5 anni
Cade l’accusa di spaccio a due guardie: «L’hashish era per il loro uso personale»
Per due agenti di polizia penitenziaria, chiamati a far rispettare l’ordine e la legalità in un microcosmo estremamente difficile come il carcere, essere arrestati per detenzione e cessione di droga all’interno di Montorio era la più infamante e inaccettabile delle accuse.
Un sospetto pesante come un macigno, «una palese e macroscopica ingiustizia - secondo il loro legale Gilberto Tommasi -. Per i miei clienti tutta questa vicenda è stata un vero incubo, personale e professionale». Sono stati necessari 5 anni di indagini per far cadere le contestazioni che pendevano in capo ai due agenti carcerari: ieri, infatti, il giudice dell’udienza preliminare Paola Vacca ha emesso nei confronti di entrambi una sentenza di assoluzione «perché il fatto non sussiste».
Significa che le prove non bastavano a reggere l’ipotesi di spaccio: una linea, questa, condivisa anche dallo stesso pubblico ministero, la dottoressa Maria Diletta Schiaffino, che si è espressa nella sua requisitoria per la non colpevolezza dei poliziotti. Per V. C., 50 anni, e il collega F. S., 42, si è trattato della seconda assoluzione sempre dall’accusa di cessione di stupefacenti all’interno del carcere - dopo quella già pronunciata nei loro riguardi dal giudice Luciano Gorra. Ai due agenti, ieri non presenti in aula, si contestava nel capo d’imputazione di aver «detenuto e ceduto all’interno del carcere di Montorio una quantità indeterminata di hashish». Lo avrebbero fatto «in concorso tra loro in epoca prossima e precedente al 15 giugno 2015». Al solo F. S., inoltre, si imputava di aver «acquistato da tale Ivan una tavola di hashish al prezzo di 400 euro al fine di cederla a terzi verso corrispettivo». Anche questa seconda accusa risaliva al 2015, ma con il verdetto emesso ieri il giudice Vacca ha sancito che «da tutto il materiale raccolto nel corso delle indagini non si ricava una prova conclusiva a carico degli imputati che essi spacciassero e non si limitassero ad autorifornirsi e, cosa ancor più grave, che spacciassero in carcere». In realtà, «gli imputati hanno sostenuto la tesi dell’essere consumatori diretti dello stupefacente, cosa che in effetti sono entrambi». Per il giudice, «l’unico dato in qualche modo suggestivo di uno spaccio in carcere è costituito a ben vedere» da un’intercettazione in cui uno dei due agenti imputati si ripropone di «usare cautela e non portare niente». Per il magistrato, «una possibile lettura di questa conversazione è che si stessero riferendo a una introduzione nell’unico luogo che fosse comune ai due e che fosse oggetto di investigazioni, vale a dire il carcere». Ma «si tratta di un elemento che rimane isolato e non appare sufficiente a fondare una sentenza di condanna». A far scattare l’indagine, era stato all’epoca un presunto «giro» di cellulari tra detenuti e guardie a Montorio. Venne disposta una serie di intercettazioni: da lì, emerse anche un sospetto spaccio di droga. Accusa da cui, ieri, i due agenti sono stati assolti.A 5 anni dal loro arresto.