Corriere di Verona

«Non solo Nina, altre tre vittime»

- Davide Orsato

«Non si tratta di un caso». Francesca Frezza è la mamma di Nina, neonata morta dopo aver contratto il batterio.

«Non si tratta di un caso». Francesca Frezza è la mamma di Nina che, un anno fa ha raccontato l’odissea della sua piccola, dalla malattia scoperta a pochi giorni dalla nascita, avvenuta all’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento, fino alla morte avvenuta all’ospedale Gaslini di Genova, luogo scelto per le ultime, misericord­iose cure, quando si era capito, ormai, che era solo questione di tempo. Proprio in questi giorni è tornata a parlare, svelando il contenuto delle perizie eseguite da Francesco Ventura, docente di Medicina legale all’Università di Genova, e di Davide Bedocchi, altro coroner incaricato direttamen­te da lei. Entrambe concordano: l’infezione è avvenuta in ospedale, durante il ricovero in terapia intensiva neonatale. La causa di morte: sepsi da citrobacte­r.

È una coincidenz­a che la decisione dell’azienda ospedalier­a sia arrivata oggi?

«Assolutame­nte no. Ci sono altre famiglie coinvolte. Dopo la morte di mia figlia sono stata contattata da tre mamme. La domanda è sempre la stessa: “Che batterio ha avuto suo figlia? Cosa è stato fatto? Che sintomi presentava?”».

Anche i loro figli hanno avuto infezioni da citrobacte­r?

«Sì, in tutti i casi. Ma ne sono a conoscenza di altri: poco tempo fa è morto un bambino di sei mesi, la famiglia abita sempre a Verona. Un altro, nato nello stesso periodo di Nina è in stato vegetativo. Un terzo, che ho visto con i miei occhi in terapia intensiva mentre c’era mia figlia ricoverata, è morto lo scorso luglio».

Dunque tutto fuorché un caso singolo…

«Tutt’altro, anche se a me è sempre stato ripetuto proprio questo. Che si trattava di un caso isolato e che il precedente risaliva a cinque anni prima. Ma da questo punto di vista le perizie medico legali parlano chiarament­e: il contagio è avvenuto in terapia intensiva e dato che il citrobacte­r si trasmette dalle urine e dalle feci qualcun altro ce lo doveva avere nello stesso reparto. A inizio settimana ho sentito di altri casi che riguardava­no neonati della terapia intensiva di Borgo Trento».

Cosa si aspetta che accada ora?

«In realtà sono sorpresa di aver visto poco fa (ieri pomeriggio, ndr) mamme e papà con i loro bambini continuare a entrare nelle Terapie intensive pediatrich­e e neonatali per dei controlli. Pensavo fossero già chiuse». È così preoccupat­a?

«Sono biologa, so di che si sta parlando. L’infezione da citrobacte­r raramente perdona. Anche per questo sarebbe necessario che i genitori coinvolti avessero le informazio­ni che io ho non ho avuto subito».

Quelle che l’hanno spinta a optare per un’altra terapia?

«Sì, la mia Nina ha sofferto troppo. C’è stato un accaniment­o terapeutic­o quando ormai era troppo tardi. Le cure palliative efficaci sono arrivate dopo il trasferime­nto al Gaslini. Anche una delle mamme con cui sono entrata in contatto ha fatto la stessa scelta: ha rifiutato che fosse eseguita la derivazion­e ventricolo-peritoneal­e, un intervento superinvas­ivo per portare il liquido in eccesso, che si sviluppa nel cervello a seguito dell’infezione, all’addome. Anche in questo caso, temo, si sarebbe rischiato un inutile calvario».

Le perizie confermano che il contagio è avvenuto in terapia intensiva

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Francesca Frezza ha raccontato, un anno fa, l’odissea della sua Nina: ha contratto il citobacter all’ospedale di Borgo Trento. Quando non c’era più nulla da fare, l’ha portata al Gaslini di Genova, specializz­ato in cure palliative, dove è morta
(foto Sartori) Mamma coraggio Francesca Frezza ha raccontato, un anno fa, l’odissea della sua Nina: ha contratto il citobacter all’ospedale di Borgo Trento. Quando non c’era più nulla da fare, l’ha portata al Gaslini di Genova, specializz­ato in cure palliative, dove è morta

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