Export frenato Ma vanno molto peggio le importazioni
Coronavirus, in Veneto -10,7% di beni da oltre confine
Com’era prevedibile causa blocco da pandemia, nei primi 3 mesi dell’anno le esportazioni del Veneto si sono inchiodate (-3,2%). Ma molto peggiore è il dato sulle importazioni, calate del 10,7%.
I dati diffusi dall’Istat sull’interscambio estero della nostra regione nel primo trimestre del 2020 - quello in cui si è improvvisamente materializzato il blocco di ogni attività a causa della pandemia ricalcano, decimale più decimale meno, quello che il nostro sistema produttivo si aspettava e, considerando che il lockdown di fatto ha riguardato solo un mese su tre, quello di marzo, per la seconda frazione dell’anno ci si attende una segno negativo decisamente più marcato.
Se l’export veneto (-3,2% rispetto al periodo gennaiomarzo 2019) ha frenato in quasi tutti i settori, la riduzione più che tripla delle importazioni di beni dall’estero (-10,7%) rischia di ridurre a pura ipotesi teorica, almeno per una buona parte della nostra manifattura, l’idea di far funzionare gli impianti anche nel mese di agosto. Per intendersi: se dall’estero non arrivano i componenti - o ne arrivano di meno, visto che nel frattempo il mondo in qualche modo è ripartito - il processo di assemblaggio di prodotti finiti comunque non potrebbe avere luogo.
Queste considerazioni sono un po’ la sintesi delle previsioni e dei giudizi espressi tanto dal mondo industriale che dal sistema veneto delle Camere di commercio.
Assindustria Venetocentro - l’associazione confindustriale che riunisce gli imprenditori di Padova e Treviso - si spinge a considerare nel dettaglio il business oltreconfine rilevato nei primi tre mesi dell’anno dalle imprese con sede nelle due province venete. In questi territori, la flessione delle esportazioni registrata dall’Istat è stata, rispettivamente, dell’8,3% per Padova e del 5,1% per Treviso; tradotte in valore assoluto, corrispondono a una perdita secca di 209 e 167 milioni di euro: in totale, quasi 380 milioni di esportazioni se ne sono andati in fumo tra gennaio e marzo. I settori più condizionati dalla chiusura delle frontiere e dalla paralisi industriale nei mercati globali sono stati i macchinari e apparecchi, i prodotti in metallo, i mobili, il tessile-abbigliamento e gli autoveicoli, le cui flessioni non sono stati compensate dalla contestuale crescita dei volumi esteri registrata al contrario da prodotti alimentari, farmaceutici e chimici.
Com’è evidente, alla base di questi numeri vi sono ragioni contingenti dovute a cause imprevedibili e incontrollabili. Non è certo un caso, infatti, se anche le due regioni confinanti, cioè gli altri vertici di quello che la presidente di Assindustria Venetocentro, Maria Cristina Piovesana, definisce il «nuovo triangolo industriale», esprimono indicatori di export del tutto analoghi: Lombardia -3% ed Emilia Romagna -2,4%.
Continuerà così. Per il trimestre in corso la curva discendente non si discosterà da quella della prima frazione dell’anno, visto che «il 69,7% delle nostre aziende – spiega Piovesana - prevede una contrazione nel primo semestre e 4 su 10 ritengono che sarà di oltre il 20%».
«È tempo – rilancia il presidente vicario, Massimo Finco - che si concretizzi un Sistema Italia che remi tutto nella stessa direzione, fatto da istituzioni, governo, aziende e associazioni di categoria, Ice, Sace Simest, ambasciate, consolati e banche, per accompagnare le nostre imprese nel mondo».
Mario Pozza, presidente di Unioncamere, indirizza la propria analisi sulle importazioni, calate nel trimestre di quasi 11 punti (in valore assoluto, beni non acquistati per quasi 1,4 miliardi). La conseguenza è che «le filiere hanno cominciato a conoscere criticità sul fronte degli approvvigionamenti, in particolare per metallurgia, concia, moda e occhialeria. Senza dimenticare tutto ciò che ha a che fare con l’automotive».
Tenere aperte le fabbriche in agosto? «Un’ipotesi da tenere in considerazione – risponde Pozza - ma perché sia realizzabile è necessario che tutti i pezzi del puzzle vadano al loro posto». Chiosa Finco: «Mi augurerei veramente che in agosto avessimo il problema di lavorare. Significherebbe che le aziende e l’export hanno ripreso vitalità, cosa che al momento purtroppo non sembra».