LA RIPARTENZA DELLA GIUSTIZIA
La pandemia, si sa, ha contagiato anche la giustizia. Tranne la Germania (che non ha chiuso i Tribunali un solo giorno), tutti i Paesi in emergenza hanno adottato durante il lockdown provvedimenti di sospensione dell’attività giudiziaria non urgente.
Provvedimenti prudenti, corretti ma dolorosissimi, soprattutto in Italia dove i tempi della giustizia sono già abnormi, per una serie di concause e corresponsabilità che non è qui il caso di indagare. Si è trattato di un tempo di sospensione lungo, che avrebbe potuto essere utile, peraltro, per smaltire un po’ di arretrato, occasione non sempre (e non da tutti) colta.
Ma adesso è davvero il momento di ripartire.
Dall’11 maggio l’attività avrebbe sostanzialmente dovuto riprendere come prima, con la discrezionalità di posticipare attività non urgenti a dopo il 31 luglio (termine che forse verrà anticipato al 30 giugno). È una facoltà che dovrebbe essere esercitata con parsimonia, ma non sempre è così; con molte lodevoli eccezioni, c’è una generale sensazione che il rallentamento non sia per niente finito, con prime udienze rinviate all’inizio 2021, esecuzioni rinviate al 2023. Non è solo questo. Rischiano di ricominciare le polemiche, le liti di piccolo cabotaggio. È degli ultimi giorni un contrasto tra l’Ordine degli Avvocati di Venezia, che insisteva per una fissazione a tamburo battente delle udienze, e la Fp Cgil Veneto, rappresentativa del personale dei tribunali, che, oltre a sottolineare alcune evidenti problematiche, ha sostenuto che gli avvocati chiedono «di fare udienza di mattina, di pomeriggio e di sabato, perché (…) l’udienza è, tra le altre cose, per loro fonte di guadagno». Qualcuno che non ha in simpatia la categoria potrebbe sorridere a pensare a questi avvocati (non tutti benestanti) che non vedono l’ora di staccare le loro parcelle per le loro (immaginarie) crapule, ma è da ricordare che, con tutti i loro difetti, contraddizioni e responsabilità, gli avvocati hanno una funzione insostituibile, così come ce l’hanno i processi che promuovono, le udienze che tengono. L’avvocato è presidio dell’art. 24 della Costituzione che garantisce ai cittadini di poter «agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»; la salvaguardia di questo diritto deve essere una priorità nella ripartenza. Non c’è giustizia se non è esercitata, o se non è esercitata in tempo; attendere un anno, due in più per ottenere una decisione può compromettere tanto un destino individuale quanto la sorte di un’azienda. Certo, la lentezza è un problema che viene da lontano, ma che anche in questo contesto è prioritario affrontare. Questo è infatti il momento di impegnarsi ancora di più e magari in modo più efficiente. Anche perché la pandemia ha lasciato in eredità il buon funzionamento della tecnologia, che non può certo sostituire in toto l’attività giudiziale in presenza ma che consente di svolgere molti incombenti da remoto. Anche sulla tecnologia, tuttavia, bisognerebbe accelerare, se è vero che una delle cause del rallentamento delle attività è l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione dei cancellieri per lo smartworking (considerata la sensibilità dei dati che trattano e il correlato rischio di data breach). Alcuni segnali molto positivi sono proprio di questi giorni: non ultimi i provvedimenti di alcuni Presidenti dei Tribunali (tra cui quello di Venezia) che invitano tutti ad agire con tempestività. È lo spirito giusto. In attesa di grandi investimenti e grandi riforme, comunque indispensabili, al momento è infatti soprattutto fondamentale un approccio diverso, collaborativo, che in molti casi si è registrato durante il lock-down e che non va perduto. È necessaria una grande alleanza tra gli operatori del diritto in cui si rinunci alle polemiche e ci si ponga tutti lo stesso obiettivo; esercitare la giustizia bene, in sicurezza e velocemente.
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