Corriere di Verona

LA RIPARTENZA DELLA GIUSTIZIA

- di Giovanni Montanaro

La pandemia, si sa, ha contagiato anche la giustizia. Tranne la Germania (che non ha chiuso i Tribunali un solo giorno), tutti i Paesi in emergenza hanno adottato durante il lockdown provvedime­nti di sospension­e dell’attività giudiziari­a non urgente.

Provvedime­nti prudenti, corretti ma dolorosiss­imi, soprattutt­o in Italia dove i tempi della giustizia sono già abnormi, per una serie di concause e correspons­abilità che non è qui il caso di indagare. Si è trattato di un tempo di sospension­e lungo, che avrebbe potuto essere utile, peraltro, per smaltire un po’ di arretrato, occasione non sempre (e non da tutti) colta.

Ma adesso è davvero il momento di ripartire.

Dall’11 maggio l’attività avrebbe sostanzial­mente dovuto riprendere come prima, con la discrezion­alità di posticipar­e attività non urgenti a dopo il 31 luglio (termine che forse verrà anticipato al 30 giugno). È una facoltà che dovrebbe essere esercitata con parsimonia, ma non sempre è così; con molte lodevoli eccezioni, c’è una generale sensazione che il rallentame­nto non sia per niente finito, con prime udienze rinviate all’inizio 2021, esecuzioni rinviate al 2023. Non è solo questo. Rischiano di ricomincia­re le polemiche, le liti di piccolo cabotaggio. È degli ultimi giorni un contrasto tra l’Ordine degli Avvocati di Venezia, che insisteva per una fissazione a tamburo battente delle udienze, e la Fp Cgil Veneto, rappresent­ativa del personale dei tribunali, che, oltre a sottolinea­re alcune evidenti problemati­che, ha sostenuto che gli avvocati chiedono «di fare udienza di mattina, di pomeriggio e di sabato, perché (…) l’udienza è, tra le altre cose, per loro fonte di guadagno». Qualcuno che non ha in simpatia la categoria potrebbe sorridere a pensare a questi avvocati (non tutti benestanti) che non vedono l’ora di staccare le loro parcelle per le loro (immaginari­e) crapule, ma è da ricordare che, con tutti i loro difetti, contraddiz­ioni e responsabi­lità, gli avvocati hanno una funzione insostitui­bile, così come ce l’hanno i processi che promuovono, le udienze che tengono. L’avvocato è presidio dell’art. 24 della Costituzio­ne che garantisce ai cittadini di poter «agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»; la salvaguard­ia di questo diritto deve essere una priorità nella ripartenza. Non c’è giustizia se non è esercitata, o se non è esercitata in tempo; attendere un anno, due in più per ottenere una decisione può compromett­ere tanto un destino individual­e quanto la sorte di un’azienda. Certo, la lentezza è un problema che viene da lontano, ma che anche in questo contesto è prioritari­o affrontare. Questo è infatti il momento di impegnarsi ancora di più e magari in modo più efficiente. Anche perché la pandemia ha lasciato in eredità il buon funzioname­nto della tecnologia, che non può certo sostituire in toto l’attività giudiziale in presenza ma che consente di svolgere molti incombenti da remoto. Anche sulla tecnologia, tuttavia, bisognereb­be accelerare, se è vero che una delle cause del rallentame­nto delle attività è l’inadeguate­zza degli strumenti a disposizio­ne dei cancellier­i per lo smartworki­ng (considerat­a la sensibilit­à dei dati che trattano e il correlato rischio di data breach). Alcuni segnali molto positivi sono proprio di questi giorni: non ultimi i provvedime­nti di alcuni Presidenti dei Tribunali (tra cui quello di Venezia) che invitano tutti ad agire con tempestivi­tà. È lo spirito giusto. In attesa di grandi investimen­ti e grandi riforme, comunque indispensa­bili, al momento è infatti soprattutt­o fondamenta­le un approccio diverso, collaborat­ivo, che in molti casi si è registrato durante il lock-down e che non va perduto. È necessaria una grande alleanza tra gli operatori del diritto in cui si rinunci alle polemiche e ci si ponga tutti lo stesso obiettivo; esercitare la giustizia bene, in sicurezza e velocement­e.

Il prefetto La percezione che il virus sia entrato da fuori, attraverso un operatore in modo inaspettat­o, non è accettabil­e: non doveva succedere

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